“Una scimmia all’accademia”, di F. Kafka, satira graffianate sul mondo degli umani, al Sancarluccio dal 22 al 25 novembre.
Napoli - Farsa
grottesca dell’esemblè a consesso,
chè la scienza è venata di spuria follia, e la mymesis è imperscrutabile e spectaculare:
venghino siori, venghino, che da guinnes
è il primate, lucido e fulvo il pelo ormai borghese, abbiam scimmia all’accademia!
“Pan troglodytes”
captivo e sornione,
solcato nel viso da signo lineare e
vermiglio, retaggio dei lustri scimmieschi, grinza che non fa una piega e non
vale un Grinzane (ahimè, non più),
perché dell’imitazione e dell’attoreo guizzo la scimmia è pregna, ebbra di
umana medietà, specchio fumè d’un
borgesismo mitteleuropeo che gongola a varietà e s’approva nel scialacquar buon
vino (un rubizzo “Primitivo”, ca va san
dire) e sfumacchair pipette all’abbisogna,
rudimenti da tabarin,
chincaglierie demodè da Old Europa e vecchi lazzi.
Come se l’imago mundi per scimmia divelta da
cuore primitivo fosse distorta nei vizi umani troppo umani, cabaret in
chiaroscuro, dove salvezza non v’è, se non nell’emulazione, da soma e
pailettes, grottesca grondante di fumus libertatis, coartazione a
ripetere bevuta, voluttà e
rappresentazione, chè dell’essere umano siam stanchi in primis noi attorucoli
scarni e sfatti e sfiduciati. Kafka (che molto amava il teatro) denuda il pelo,
il vello d’ominide, lasciando il primate a far da speculum per homines
prosaici e crassi, giacchè unica via, se non per libertà, almeno sopravvivenza,
è nell’iper-testualità dello spettacolo, del carnascialesco eloquio in punta
d’assi.
Pietro il Rosso,
sbrego indistinguibile perché similare, su tela accademica, non è
attorea scimmia, ma scimmia cubica, moltiplicatore del primitivo arroccato
nell’intimo più umano, unica vera costumanza a render consonanza agli evi
ancestrali, senza esser malsana vacua e caricaturale veste.«Non mi piacevano gli uomini, li imitavo solo per trovare una via di
scampo», argomenta il Nostro, la sua metamorfosi inversa è compiuta, il
lume a stoppino di animalità charmant non riluce al bistrot degli umani, come
gioco d’ombre degradato a follia: la scimmia è il simulacro, l’animale in
gabbia resta bipede, legge Darwin ed ha il pollice opponibile.
Bravo,
perfettamente calato, occhio bistrato, tight
su misura: Saba Salvemini rende onore al testo, sorveglia e misura la baldanza
attorea e convince l’uditorio. Chi è la scimmia, tra palco e platea?
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