domenica 18 novembre 2012

Il VENDOLAMLETO

 























“Essere più di centro o essere più di sinistra?”. Atavico è poi il dramma, diuturno ed imperituro, infelice soliloquio d’un pugliese assai frusto, svilito: lustri secolari, gli spettri sono catene, ombre derelitte che avvolgono il proscenio; “c’è del marcio in partitocrazia?”, ed Vendolamleto pasce, immalinconito e stracco, finchè gallo intona, triste e chiara litania. Cabaret Sinistra, e c’è del metodo nella loro follia, bisogna convenire: Bersani romagnolo, regista di piadina, rende il PD tourbillon di strana fattura, alla ricerca del centro che (mai) fu; “life is cabaret” del resto, di che cianciare ancora? Parlez-vous supercazzolaise? No?

Male, perché questa sera il Vendolamleto recita in vendolese stretto, con traduzione simultanea sul maxischermo (l’occhio stroboscopico, un occhio alla poetica e l'altra alla politica potrebbe all’uopo aggradare) e in italiano. Gli spalti merlettati son lustrini di chantosa, Roma è preda ambita, sta lì e rifulge, il gotico ne sfuma, tavolini di bistrot a far da Montecitorio e copertura. Bersani ha vinto? Ma ha un corvo sulla spalla, un toscano tra le labbra, ed è il Renziano che incalza di stocco, con teschio tra le palme, il nesso che gli sfugge: da rottamare il padre, per arcano veneficio, da riciclare il partito come sfatto radiatore, e con mano di fellone; D'Alema, vecchio baffo, è Iago, la madre non è Bindi, nessuno che che riposi, nel regno ormai bordello.

Garzone di Botteghe, oscure son le trame, di Tabacci vide l’ombra, lemure imbiancato che sfugge al suo sepolcro: Vendolamleto è il padre, in Renzi mai si specchia, il sangue chiama sangue, ormai troppa è la iattura. Vendetta, e che sia giusta! Ma può un vecchio figlio, un Vendolamleto con scappellamento a sinistra, compiere vendetta affogato tra fiumi di SEL e rivoli e poetastri? Sì, potrebbe, ma non può: muta nevrosi in ambigua malia, non plaude l’incestuoso imeneo, tra l'orde di Casini e lordure alla Penati, sibila e sghignazza, perde l’amata Puppato la contesa; trafigge Padre-Bersani, il Toscano, scambiando il baratto (a te Governo, a me un Ministero);  paga il conto, si sfida alla morte l’ex fraterno Di Pietro, che è furente, quel  ba-ratto gli è stato rapito, e a fil di spada Vendolamleto ne pagherà il dazio.

La giostra è follia, tra musiche e danze, sonetti politici mutati in scia di sventure: un hellzapoppin ciondolante, come tragi-commedia sospesa, l’orchestra che suona, la tolda del vapore s’inabissa, ed un Cavaliere, vecchio, urticante ancora in scena, batte gli zoccoli del suo Alfano, alfiere, come fossero (per)denti. “Tinto di rosso, il mattino attraversa la rugiada, che al suo suo passaggio pare sangue”, i versi di Heiner Muller riflettono il dramma, della Sinistrorsa baldanza è la nuda verità, che basta una stilla vermiglia di primarie per insanguinare un Partito intero, e questo e quanto (ma chissà, forse è sol scena).

“To be or not to be di lotta o governo?", ed è ipnotico flusso di pensieri a rincorrersi, Vendolamleto riflette sé stesso, il volto diaccio, la zeppola è floscia, finanche il ghiaccio nel bicchiere è sciolto, il Cabaret PD forse evaporerà come spuma ambrata: il futuro ormai passato, post-operaio, contra Marchionne?, le fabbriche del Capitale (e quelle di Nichi??) diverranno hard discount per frattaglie di vite da passare allo scontrino.

E il Bocconiano, sullo sfondo, ha lo sguardo distaccato e professorale alquanto; quanta prece per un Premier che snobba la sua vis? Rimane l’ironia del Fato, che si fece beffe dell’elettore, cullandolo ebbro per l'ultimo Day. Quello dell'Elezioni.

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