“Il Baciamano”,
di Manlio Santanelli, atto unico sulla Rivoluzione del ’99, in scena al
Sancarluccio.
Napoli – Vermiglia alba, sorta a Neapoli un dì pratile di due secoli (e più) orsono: Sant’Antonio in processione, 13 giugno, lordure ed orde, di Sanfedisti cardinalizi, per le rue ed il chiavicume di decumani non più plebei, ma ormai lazzari, e inquieti, ad unghiate scavando le cerevelle libberali di Signure, che così è stato detto, così deve essere; Viva Tata Maccarone, Viva ‘O cardinale Ruffo , ammèn e così sia! Che si fotta ‘a Repubbleca, che tanto so’ belle parole, chi le capisce, le panze soo’ vuote, tracimano e si gonfiano, s’abboffano, e al popolo solo panem serve, che i circenses son fuggiti, stanno a Palermo, e però….
Napoli, interno giorno, i rivoli s’aggrumano negli interstizi d’un cantero popolare, una tana di Janara (una strepitosa, sofferta e vera Annarita Vitolo); “Signorno! E che d’è ‘sta Rivoluzzione??”, aura lazzara e ferale, cannibalico ascesso, per lupercalia di baccanti, ed un Penteo aristo-borghese (Vincenzo Albano) legato a salamella, nella tiella a raggelare: due correnti, l’una che ascende, l’altra s’inabissa, a metà strada ad annusarsi, schivando il viso, a nari piene, voluttà e discernimento, per fabula da grandguignol contata da un De Rais in vena umorale; macabra-cadabra , e le idee della rivoluzione, d’un ’99 franco-partenopeo diventano fiero pasto, rectius, pasto da fiere,per demòni coperti di rabbia e pezzenteria.
Janara è
giovane-vecchia, della fiaba la prescelta, Circe dei basoli, occhi di bracia e
cenere e vesuviana, fuso e arrocco in nome d’un Re che mai vide, ma sempe masculo è, e questo abbasta;
rintocchi di trame oscure avvolgono lu
giacobbe , gli tocca, il rintocco, e la fine “À la carte”, e da carnet , la forca rimane incantamento,
fine sminuzzata come lepre in salmì, e questo è tutto. Oppure no, chissà.
Rimane il baciamano, limen tra due mondi, perché la lama ondeggia nelle mani della femmina, ma la grazia stavolta è nell’asso altrui, del maschio-capro a sacrificio, e tentenna Janara, persa sulla scena, tra un tavolaccio all’ara (pacis? C’est ne pas possible!) , mercede a sacrario per sacrifium del bel Penteo; per un momento rorida pelle scarnificata al tocco, labbra aggraziate s’ aprono a squarcio: borghese tres chic et illuminato spirto impetuoso, abbaglia la tiella, come fiamma zolfegna, ma è un lampo solo, ed al cuore si comanda, e la punta ne penetra il muscolo, e la storia divenne Storia.
Borghesi e sanculotti alla rovescia, intellectual class, nobili (anche clero, ad onor di verità), per un sabbah di corpi e croci puntute, spunte e crocicchi, e riverberi di luce, a scarnificare le pelli di rivoluzionari per osmosi, e Napoli sballottata in mezzo, per una manciata di giorni che scavarono il solco: di qua le janare, di là le Lionore (come Pimmentèl): anche se per un solo brivido, seppur baciamano, lo squarcio trapassa la scena, e le ombre si tendono, unendosi sulle assi.
Testo ormai classico (Santanelli come garanzia), attenta e “realista” la regia di Antonio Grimaldi, effervescente e d’applausi la Vitolo. Ottima scelta, al Sancarluccio dal 16 al 18 novembre.
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