sabato 4 settembre 2010

Leggere: perchè no?

Ludwig Feuerbach. Spirito eccelso della sinistra hegeliana tardo ottocentesca, critico ed influente intellettuale “disorganico” (fu sovente bistrattato dall’establishment accademico), il filosofo teutonico fu il vate tessitore d’un ordito teorico e teoretico che si pose alla base del superamento teologico, trascendentale, del concetto religioso in quanto emanazione del divino sovraumano. “Sensualismo” fu appellata tale corrente, ricerca dell’essenza divina attraverso i sensi empirici, inquadrabile secondo una logica prettamente antropocentrica, “umanistica” perché è l’uomo ad aver generato Dio, non il contrario. Erano gli anni de “l’uomo è quel che mangia”, di una critica materialista di stampo hegeliano spinta fino ad uno scientismo nudo e crudo ( “senza fosforo nel cervello non si ha nessun pensiero”, a dar retta al fisiologo Moleschott), di punzonature al senso unitario della religione cristiana, una critica radicale che s’espresse nell’ “Essenza del Cristianesimo” (1841), summa filologica d’un percorso unitario che porta all’ exitus concettuale d’un “essere divino che si rivela nella natura, ma non è altro che natura stessa”, essenza che si rivela, si impone all'uomo come essere sovranaturale ed imperituro, unicità indivisibile. La verità dell’uomo si dissolve in maschere mitologiche di matrice classicheggiante, desideri inappagati, transeunti eppure permeanti, permanenti, divenuti totemici argini che definiscono dell’umano il limen, il confine materiale: per Feuerbach la realtà è scotomizzata, diviene marginale, di second’ordine, falso sapere che trova il suo acme nel dogma religioso, negazione dell’uomo che rinnega il suo essere. “Desiderio e Destino”(Guida editore) è un saggio esauriente, illuminante: Andrea Cardillo, ricercatore di Filosofia Morale all’accademia federiciana, attualizza il pensiero feuerbachiano, ne svelle i cardini per palesarne la meccanica alla base, prende spunto dalla “Teogonia” del filosofo (opera del 1857) per enuclearne l’episteme essenziale, il nocciolo esiziale d’un sistema teogonico che dalla teologia omerica, fondendo filologia, critica ed empirismo, giunge ad un’ermeneutica comparativa di rara portanza e significato.
“In ogni desiderio umano si cela una divinità; allo stesso tempo dietro ogni divinità si cela un desiderio”: questo è il filo arroccato, ad ispessire il fuso d’una filosofia corposa che poco s’arrovellava su sé stessa per sfilarsi dall’hegelismo più radicale e conformista; laddove per Hegel v’è “Geist” (Spirito), per Feuerbach v’è “Materia (o “Natura”), ed il desiderio altro non è che il luogo fenomenico primigenio della relazione esistente tra soggetto ed oggetto, tra spirito e natura. Tale è il segreto della religione. L’aver reso questo legame inscindibile, manifesto: ma se il dio si limita alla realizzazione del desiderio inconscio dell’uomo, ed il volere dell’uno tracima nell’agire dell’altro, in cosa differiscono le due entità? Sono un’ “endiade”, quintessenza tautologica, chimera del pensiero? “Gli uomini sono esseri che desiderano, anelano, vogliono (…) ma sono gli dei a portare a termine i desideri. La mera volontà, il desiderio, è chiamata uomo; la volontà che si realizza concretamente è chiamata dio”. Umano e Divino si sfiorano al tocco, fin dai tempi più oscuri. E a Feuerbach il merito di averne compreso il senso.