venerdì 30 novembre 2012

Gigginem et Circenses















"Pane e feste tengon il popol quieto" (Lorenzo il Magnifico).

 "Il cittadino crucciato fa alleanza col nemico... " (W. Shakespeare, Re Giovanni, atto IV, scena II).

Forse che sia crucciato il Primo tra i cittadini, dell'andazzo scenico in città, col consenso neapolitano che scema, il nazionale che preme, le primarie che incalzano, le prime file già prese, e la fortuna che gira, come fosse colpo gobbo di mano Sinistra?
Avanti c'è posto, panem ne abbiamo un tocco, ed è cafone, di circenses a iosa, e quand'anche non bastassero, i balocchi li cacciamo ex novo e alla rinfusa: che ci si prepari ai giochi antichi, come fossero Flavii, e se sotto Nerone ri-suonava l'arpa, sotto l'Arancione rulla la grancassa; ma un momento, Alt!, fermate il giogo, dov'è la giostra? Qui manca il molosso, colosso, Colosseo! E dov'è il progetto, che carta canta, la Giunta stona, e il cemento scalpita?

Chi tira la corda della cordata amica ed imprenditoriale, che di capitali pubblici quivi non ve ne sono?
E' Marilù Faraone Mennella, moglie di Antonio D'Amato, la prima della filiera, imprenditrice "arancio-cremisi" per mutate esigenze di filantropia politica, che sin dai tempi iervolinici pare avere uno spiccato interesse per la zona di Napoli Est, refugium peccatorum per anime prave adoranti il deus cementifero, il grigio moloch che sovverte i canoni dell'archeologia industriale, mutando cubature ed architravi per riconversioni repentine sull'altare dei penati commerciali: perchè dove c'è Penati, è subito cassa. Colate di cemento ad inondare le periferie, che 'a famme dell'inferno lunare, è fame di appalti e costruzioni.

E se prima era  il "Pala-ponticelli" la posta, mega-centro per commerci e grandi eventi in zona ex industriale, da riconvertirsi  precipuamente "a servizi ed attrezzature pubbliche", adesso è nuovo colosseo il giochino da tre palle e un soldo, stadiotto tosto per sports, music & events targati Giggino, la cui giunta rivoluzionaria dichiara che l'opera sarà da costruirsi in «project financing», ergo con oneri tutti a carico del privato interessato. Tutto il cucuzzaro commercial-sportivo avrà un'estensione di riguardo, superando i 38.000 metri quadri, ed a garanzia dell'operazione v'è un capitale sociale di tutto rispetto: 10.000 euro, appartenenti alla "Palaponticelli S.r.l." (che si occupa del solo Palaponticelli invero), di cui è vice-presidente la stessa Mennella, e che attraverso una matrioska di altre società ad incastro si riconduce alla Idis, vecchia conoscenza sempre targata D' Amato-Mennella. 

Pare proprio che i due siano molto affezionati alla zona, tanto da volerci impiantare perfino un nuovo stadio (forse per il curling??), e garantendo la riqualificazione del vecchio San Paolo, dopo che De Laurentiis ha dato il suo niet definitivo alla sola idea di far giocare i blues partenopei in quel di Ponticelli. Del resto son imprenditori affidabili, ca va sans dire, tanto che nel 2006 il Tribunale fallimentare neapolitano dichiarò fallita la I.Car (edilizia), sempre in area Mennella, dopo che la società aveva messo in cassa integrazione una sessantina d'operai senza aver corrisposto loro i contributi nel biennio antecedente: imprenditori bravi a trattare col pubblico, ed altrettanto solerti nel smollare i carrozzoni in perdita quando i rubinetti si chiudono o restringono.

Ma Giggino Murat dal Comune rilancia i dadi, e l'area conoscerà un rilancio come nemmanco Las Vegas negli anni '90: se non ci piazza il casinò, poco ci manca, prevista una delibera per il "piano casa" con relativa variante al Piano Regolatore Generale, e volute cubiche di cemento per circa 20.000 vani in più, più i 50.000 già in previsione, onde riqualificare le ex aree industriali in dismissione decennale; 9 milioni di metri quadrati in totale, che dovrebbero prevedere nuovi impianti residenziali, sportivi, asili nido, etc., con facoltà da parte di Saint James Palace Hotel d'assegnazione a particolari categorie sociali viepiù disagiate. Un boom edificatorio in piena regola, come non se ne vedevano dai tempi di Rosi e delle "sue" mani sulla città: tutto scintillante, perfectissimo e meritorio, ma siam sicuri che le mani dei privati, pur avendo unghie laccate e ben smerigliate, non siano prosaica morsa ferrea ed inscalfibile attorno agli attributi del Comune (cioè i nostri)?

Panem et circenses: sovente per sopravvivere ci si adatta al gioco, si spariglia il Piano (Regolatore?), e si tira a sorte, sperando che il pane, dalla cara Rosetta, passando per Cafone, non diventi  per Neapoli solida e francesissima baguette, da consumarsi a rutto libero nell'alveo d'uno stadio novello, oppure da tener in caldo, e a grave prezzo, laggiù dove il Sol, per pudicizia, ancor non batte.





mercoledì 28 novembre 2012

Metti una Sera a Teatro....






















Alla Sala Assoli fino al 2 dicembre, “Dongiovanna”, con Giovanna Giuliani, storia di donna all’”Ennesima” potenza.

Napoli – “La seduzione implica e misura l’incapacità delle donne a parlare per se stesse o a reclamare in quanto genuina, una sessualità indipendente dai sogni che gli uomini fan su di loro”(Jane Miller).
Ma può sensualità, escrescenza d’ amor profano, declinata diuturnamente al maschile, figlia “d’un’incarnazione della carne” (per dirla con Kierkegaard), trovare ricetto, e riscatto, nel femmineo esplicarsi d’una vanità fine a sé stessa? Può Dongiovanni declinare sfumature, ciprie, ars amandi, voluttà e maschia recherche, di guitto in perenne caccia, al femminile, mutando segno in “Dongiovanna”? Giovanna Giuliani, o-scenicamente riscrive il mito ancestrale, lauto pasto d’un cristianesimo catto-imperante, per figura classicheggiante come aureo velo di Maya, a disvelare gli arcani dell’essere seduttore, al limite di stalking, verso sé e l’altrui sesso; ma conta ancora il sesso, la declinazione genitale, il gerundio in divenire, nel primo scorcio del millennio in nuce?

“Ennesima”, è il nome che designa per sé, forse è un accidenti l’istesso suo femminino “esserci” (Heidegger approverebbe), in tempi liquidi e convulsi, in cui il gender è traslucido, trans-gender appunto, perché valica le costumanze ed i limiti del corporeo definirsi, tra omo ed etero, col terzo genus  un tempo caro ad Hermes, forse ad esso ancora ermeticamente consacrato, per un taglio lacaniano, reciso e netto, perché omosessuale è “chiunque (uomo o donna) ami un uomo” ed eterosessuale “chiunque (uomo o donna) ami una donna”, ancora avulso dall’imago del mondo che noi moderni talebani con l’I-pad in resta abbiamo della nostra humana sensualità (ahi, quanto più moderni ci appaiono i primati!).

Dongiovanna all’ennesima potenza, spinge e preme e divelle il senso scenico, per rovesciare il sesso, forzando il sentimentalismo adolescenziale (a suo dire), il cristallo delle emotività vulgari, di gelosie irrisolte, di paranoie possessivo-compulsive, ansie che divengono sacello per lemuri incarnati nella più muscolare delle pulsioni: la piece è emulazione dell’archetipo, analisi labirintica delle nuances del prisma femminile, lettino su cui distendere il proprio ego, circondadolo di ferraglia a zavorra e rimorchio, ostacoli inconsci come cavalli di frisia, fino alla demolizione delle inibizioni più radicali, fino allo spoglio repentino della pelle scenica, sotto il calco umbratile d’una luna in palcoscenco, a rischiarare concavi e convessi dell’esser donna, e seduttrice, e fragile, determinata ed auto-ironica, ipso facto “eroica” (almeno come modello culturale, “di culto”).

Oscilla, l’anima errante, dispersa tra singulti a dispnea, il dramma d’esser voce e maschera tra somatiche rappresentazioni a catalogo, personae in condominio straniante, tutte e nessuna, Dongiovanna le ascolta, le solletica, le studia. Perché il suo è un trans-gender senza qualità, sia stilistiche, che sessuali, solo l’ennesimo genere, che forse li racchiude tutti. La sua episteme la chiama ammore,  pare cobra, che non è rettorianamente “serpe”, ma sapere, che s’arricchisce ad ogni muta, a metamorfosi; più che uno spettacolo, un catalogo in bella vista delle progressioni dinamiche dell’esser uomo, senza distinzioni di pistillo: e per la prima volta l’equinozio dei generi è paritario per davvero.   

Brava la Giuliani a dare forma al pensiero autoriale (il testo è tratto da un’opera di Fabrizia Di Stefano), stimolato da lettura polimorfa, che diviene lotta di stile e stille, di sudore e lacrime, e riso umorale, a gola spiegata, come bulimia e variazione che  spinge verso l’atavica fame del dongiovannismo, irredentismo sessuale scevro da ogni inutile perbenismo a malcelata ed ipocrita copertura. 
Applausi.

LEADER MINIMO

























Un vero leader non si fa mai pregare: agisce.

Un vero leader è un faro per chi brancola nelle tenebre.

Un vero leader non teme rivali: li aggira o li annienta.

Un vero leader ha una parola buona per tutti.

Un vero leader è sempre in prima linea.

Un vero leader è un vincente.

Un vero leader è un uomo/donna che indica la via.

Un vero leader è sordo alle fronde interne, ma attento nel colpirle.

Un vero leader è.....ok, allora Bersani che cazzo c'entra???  

martedì 27 novembre 2012

LE EREZIONI





















 "La follia e il folle diventano personaggi importanti nella loro ambiguità: minaccia e derisione, vertiginosa irragionevolezza del mondo, e meschino ridicolo degli uomini" (M. Foucalt).

Primarie, s'affastellano le ere, come fossero primarie.
Senza eroi, senza sussulti (checchè se ne dica), senza cumpassio; figuranti, figurine, da appiccicare all'album, ora della Sinistrata, domani chissà, magari del Popolo delle Libertà vigilate e provvisorie, col Delfino senza quid a risalire come salmonide la corrente, senza pestar coda al Cainano di riferimento e fiducia.
Tre milioni, un euro al voto, anzi due, che siamo democratici e di partito, dunque paga, caro elettore, elettrone, elettrauto; domenica delle salme, tutti in fila, un voto una palla, e butta giù la tua sagoma cartonata, che i gazebi sono in fitto, le urne pure, per tacer del simulacro democratico a rimorchio: folle che votano folli, quando non Follini (a proposito è vivo ancora?)

Erasmo s'imbarca, lucida e matta la sua stramberia, poi c'è il nocchiero, il vecchio Brant e la sua nave di schizzati, e chiude la fila all'imbarcadero il rizelato Foucalt: un momento, un memento! Noi italici, romantici e sinistri imbarchiamo pur anco Giorgio, il mito Gaber, perchè la democrazia dà sempre quel senso di fresco bucato, d'ordine e pulizia (morale??),  o no?

"Mi danno in mano un paio di schede
e una bellissima matita
lunga, sottile, marroncina,
perfettamente temperata

e vado verso la cabina

volutamente disinvolto
per non tradire le emozioni

e faccio un segno sul mio segno

come son giuste le elezioni.

È proprio vero che fa bene

un po' di partecipazione
con cura piego le due schede
e guardo ancora la matita
così perfetta è temperata..."


E noi quella matita, giallina, fresca e temperata ce la portiam via, assieme alla nostra coscienza di bravi elettori, proni al compito affidatoci, nell'illusione d'aver adempiuto al dovere, come in prima linea, i primi lignei, allocchi fiduciosi, "perchè si dovrà pur votare per cambiar nesso e cose" , solo che il nostro sorsetto di gerovital politicante non cambia le sorti, imbarbariti come siamo da spending review e distruzione di tessuto e welfare state. Giacchè par di rimembrare che il Belpaese non contempla il premierato forte e diretto, dunque la clownesca carnascialata primaria del PD non cambierà le sorti del nostro orizzonte ed avvenire: les folies Bergere a Parlamento hanno già incoronato il successore, sull'onda lunga di Penna sul Colle al Qui rinale, ergo, "Monti, Monti-bis, punto due punti e a capo, massì abbondiamo!"
 

Anche il programma è cosa fatta: chiamasi "Agenda Monti", ma potrebbe anch'essere il conto della serva, con le entrate in rosso e le uscite in riserva, tagli fortissimamente tagli, e rigore, rigore a valanga, che arbitro su Colle altrimenti fischia (l'ultimo monito del settennato ottuagenario). Il rigor Montis è vicino, irrigidisce la democrazia, tarpa le ali alla politica (ma i polli siam noi), mette il busto alle primarie, che al massimo valgono un bustino in calce viva per il vincitore di turno; che poi al prossimo si cambia, con l'usato sicuro al Governo.

Bersani? Manco pe' gnente, per dirla alla latina: il tipo è segaligno, lungaccione e bocconiano alquanto. Il dado è truccato, la carta è falsa, il croupier è in abbiocco: tolta la sostanza alle elezioni, non ci resta che il ricordo delle nostre performance migliori. E giù a ricordare, vecchie storiacce di brogliacci osè, consultazioni frenetiche ed orgasmiche, urletti moderati in salsa DC, petting spinto di marca PCI, e poi, in ultimo quelle care vecchie e nostalgiche erezioni, alla ricerca del Signor G...
Ah, che tempi!

lunedì 26 novembre 2012

Metti una Sera a Teatro....




























“Una scimmia all’accademia”, di F. Kafka, satira graffianate sul mondo degli umani, al Sancarluccio dal 22 al 25 novembre.

Napoli -  Farsa grottesca dell’esemblè a consesso, chè la scienza è venata di spuria follia, e la mymesis è imperscrutabile e spectaculare: venghino siori, venghino, che da guinnes è il primate, lucido e fulvo il pelo ormai borghese, abbiam scimmia  all’accademia! 

Pan troglodytes” captivo e sornione, solcato nel viso da signo lineare e vermiglio, retaggio dei lustri scimmieschi, grinza che non fa una piega e non vale un Grinzane (ahimè, non più), perché dell’imitazione e dell’attoreo guizzo la scimmia è pregna, ebbra di umana medietà, specchio fumè d’un borgesismo mitteleuropeo che gongola a varietà e s’approva nel scialacquar buon vino (un rubizzo “Primitivo”, ca va san dire) e sfumacchair pipette all’abbisogna,  rudimenti da tabarin, chincaglierie demodè da Old Europa e vecchi lazzi.

Come se l’imago mundi per scimmia divelta da cuore primitivo fosse distorta nei vizi umani troppo umani, cabaret in chiaroscuro, dove salvezza non v’è, se non nell’emulazione, da soma e pailettes, grottesca grondante di  fumus libertatis, coartazione a ripetere  bevuta, voluttà e rappresentazione, chè dell’essere umano siam stanchi in primis noi attorucoli scarni e sfatti e sfiduciati. Kafka (che molto amava il teatro) denuda il pelo, il vello d’ominide, lasciando il primate a far da speculum per homines prosaici e crassi, giacchè unica via, se non per libertà, almeno sopravvivenza, è nell’iper-testualità dello spettacolo, del carnascialesco eloquio in punta d’assi.

Pietro il Rosso,  sbrego indistinguibile perché similare, su tela accademica, non è attorea scimmia, ma scimmia cubica, moltiplicatore del primitivo arroccato nell’intimo più umano, unica vera costumanza a render consonanza agli evi ancestrali, senza esser malsana vacua e caricaturale veste.«Non mi piacevano gli uomini, li imitavo solo per trovare una via di scampo», argomenta il Nostro, la sua metamorfosi inversa è compiuta, il lume a stoppino di animalità charmant  non riluce al bistrot degli umani, come gioco d’ombre degradato a follia: la scimmia è il simulacro, l’animale in gabbia resta bipede, legge Darwin ed ha il pollice opponibile. 

Bravo, perfettamente calato, occhio bistrato, tight su misura: Saba Salvemini rende onore al testo, sorveglia e misura la baldanza attorea e convince l’uditorio. Chi è la scimmia, tra palco e platea?

venerdì 23 novembre 2012

L'URLO DEGLI INNOCENTI


















"Guerra. Un sottoprodotto della pace" (Ambrose Bierce).


“L’orrore”. Quale epitaffio di “apocalypsiche” schegge strappate al tessuto d’una guerra tenebrosa, dal cuore nero, diviene arroganza oscena che sublima, trasmutando in voluttà di potenza, tracimando in livide pozze di umori aciduli, vomito urticante come bolo lavico: nuda parvenza, egida superflua per uomini inermi di fronte all’istinto. Perché l’orrore ha un volto, e bisogna farsi amico l’orrore se si vuol sopravvivere al maelstom cannibalesco, di uomini regrediti ai primordi, ragione e fede come simulacro, le vestigia del Pensiero screziate dal bianchiccio riverbero di albe allucinate, le angosce di un’anima illividita ad azzannarti la gola, come erinni in fiamme. 

La Striscia ce ne restituisce intatto il senso, l’afrore morboso, ritagliandone i contorni: l’orrore nella sua forma più pura, stille d’impotenza civile che trasudano dalla pelle e dagli occhi di vittime e carnefici, ad infrangere lo specchio dannato d’un’Alice distorta, a segnare il confine, il limen budelloso di una guerra come risiko di maschere non più così umane, spettacolo perverso il cui riverbero disgusta ed ammalia, fascinoso e perverso. Gaza come Nuova Babilonia per un millennio gotico d’assalti medievali, scie luminose di corvi alati e roboanti a solcare la notte, il puzzo dei corpi disfatti a bruciare al fuoco di incensi antichi, lo sfondo di bastioni in rovina, miserie umane e materiche che si fanno slavina, corrodono i legami dissolvendo il senso, come ghibli vetroso che graffia i volti solcando le mani. 

Un circo di spettri, un vortice che impila uomini come tessere di domino, oscenamente denudati nella loro essenza di “captivi”, tanto più indifesi perché vinti;  la coscienza spettatrice, di chi è al sicuro e lontano, che si ribella, ululando al vento il suo disprezzo assoluto per un sistema deviato, che costringe a morire, perpetuando sé stesso; immagini di donne abbracciate a corpicini, madri placentari che avvolgono figli, lo sguardo perso negli occhi della fanciullezza divelta.  Pare d’esser risucchiati nel vortice d’un Otto Dix, tra donne distrutte e deformate dal dolore, clowns satanici che s’animano da presso, invece è dura cronaca d’ un passato eterno a noi vicino. 

La guerra è sempre sporca, perché frutto di ciarpame menzognero: si punta il dito, rigirandolo nel ventre della popolazione attonita, il paravento della vuota retorica che copre il prosaico scorrere del vento sabbioso d’una Guerra Imperitura, a graffiare i volti, come vetro, a solcare le mani, ruvide e indurite come canapa grezza: maschere deformi, grottesche, che s’animano da presso, dura cronaca d’ un passato a noi vicino,sempre attuale.


In guerra gli innocenti han sempre torto.

GIORNALAI DI PALAZZO





















"Finalmente sono un giornalista anch'io: ora i fatti non mi interessano più" (Pat Buchanan).

"Non avere un pensiero e saperlo esprimere: è questo che fa di qualcuno un giornalista" (K. Kraus).


"Carte false", per chi non vuol distinguere il vero dal falso, racconto di tradimenti e colpevoli illusioni, fresche albe inchiostrate a caratteri cubitali: esser giornalisti in Italia e non giornalai, come sovente capita. I grandi nomi della penna ormai digitale, s'accontentano delle greppie auree a peso d'oro; per altri controcorrente, spetta loro la fine dei salmonidi, azzannati alla gola da un precariato sordo ai lamenti, perchè le idee costano, e la pelle viene via un tanto al pezzo, e tanto abbasti a sopravvivere. Pennivendoli, pescivendoli, coi lupini s'incarta un giornale a fine giro, per i prezzolati un desco apparecchiato, per gli invitti un lumicino, per i giovani e precari manco unaprece nè un santo cui votarsi.
Benvenuti in Italia, la patria dei giornalisti, la patria dei giornalai!

E l'informazione può esser pubblica o uti privatorum, il gioco in tal caso lo regge un simil-berlusconide imprenditorucolo e palazzinaro, un divino plutocrate innamorato delle idee altrui, che poi compra come fossero trecce, dichiarandosi sommo liberale, per impastare truce o fine mota che diventi a lui digeribile e per gli altri dirigibile, di quelli a forma di supposta, titanici zeppelin, per retrovie proctologiche, alla ricerca di luce in fondo al tunnel, invero quando tunnel è botro senza uscita. Poi v'è la parvenza, il velo mayale, per quelli che la mamma è sempre la mamma, e Mamma-Rai è l'abbondanza: pubblica pare pubblica, di canone al guinzaglio, di partiti gran tortillas, da appianare e spartire, coi giornalisti "pubblici" a far da reggimoccolo ai segretari, segrataire, divenendo financo segretarie per padroncini parlamentari e di s-partito, suonando musiche già udite e scritte a tavolino da altri, che poi son sempre quelli, i potentati ammuffiti in odor di denaro e potere.

Proni alla meta, per qualcuno è vanto; per alcuni è bisogno; per altri (e per fortuna) è oltraggio.               Ma oltre ai giornalisti privati, a quelli pubblici, perchè presi a "canonate", vi son poi i professionsiti-dirigenti prestati al Pubblico nel senso Statale, non statalista, figure intermedie tra il libero pensatore e l'house organ della P.A.: nulla quaestio in merito, se la padronanza del mestiere permette sobrietà ed equilibrio, nel solo interesse dell'Istituzione, della sua comunicazione e del pubblico, inteso come cittadino, ricevente e fruitore finale dell'informazione veicolata. Spuntano come funghi, uffici stampa d'Enti e Ministeri, Comuni e Governi, financo Giunte, a mani pregne, e Sindacucci: è la stampa, bellezza!  
Concetto innovativo, moderno, con la comunicazione piena e non parziale delle informazioni e della loro circolazione, nella più amplia percezione di un processo attraverso cui un soggetto emittente trasferisce stimoli percettivi ad un ulteriore soggetto ricevente, ha in nuce una molteplicità di sfaccettature,che non si esauriscono nel solipsistico concetto di “persona o individuo”, ma si allarga fino a ricomprendere  il “Soggetto-Ente” di natura pubblica.

In tal caso, l'emittente è un soggetto strutturato, con organizzazione interna ben complessa, il cui diritto d'infomare diviene dovere precipuo in favore della Cittadinanza, l'utenza collettiva, ed il focus della comunicazione si sposta verso la comprensione di tale diritto-dovere tra i peculiari diritti dell’amministrato, tra i quali rientrano anche il diritto all’assistenza, alla conoscenza, alla semplificazione, alla tempestività delle decisioni ed alla motivazione di ciò che la P.A. decide con i suoi atti.  Dunque, nell'odierna visione dell'istituzione pubblica, s'inquadra l’obbligo a carico della P.A. di “fare informazione”, e solo questa, escludendo affatto altre forme di comunicazione, tra cui potrebbe rientrare la mera propaganda, l’informazione di natura privatistica, “pro domo sua”, etc.

La corretta ed esaustiva trasmissione delle informazioni nei confronti della collettività, di guisa legittimata ad intervenire attivamente (c.d. “cittadinanza informata”) nella gestione dei “pubblics affairs”, comprende tre attività connesse, seppur distinte: a) informazione; b) l’atto del comunicare; c) la comprensione. Pertanto, secondo tale ripartizione, nella comunicazione sic et simpliciter rientra anche “l’informazione”, che costituisce il trasferimento di minima unità di conoscenza, orientata dunque alla modificazione di determinati comportamenti sociali del singolo e della collettività.

Ex lege 241/90 (novellata dalla L. 15/2005, e da L. 69/2009), all’art.1, co. 1 del Capo I, si legge:  

“L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princìpi dell’ordinamento comunitario”.

Criteri di pubblicità, trasparenza, imparzialità, etc., che la P.A. persegue avvalendosi di apposti strumenti, tesi all’implementazione ed alla libera circolazione dei flussi informativi verso l’utenza sociale di riferimento, da ottimizzare attraverso una comunicazione capillare, avvalendosi di strumentazione informativa di massa a mezzo stampa, audio-visiva, telematica, con la predisposizione di programmi ed uffici di natura tecnico-organizzativa tendenti ad illustrare le attività delle istituzioni e il loro funzionamento, promuovendone la conoscenza, con una precisa mission di modernizzazione degli apparatied immediatezza dei flussi informativi: e qui entrano in gioco gli Uffici Stampa, il cui organico è formato da personale iscritto all’albo dei giornalisti, con un Capo Ufficio Stampa in posizione apicale, di coordinamento ed indirizzo, il quale è il responsabile del barnum comunicativo, cura e predispone i collegamenti ed i canali comunicativi con gli organi di informazione, assicurando responsabilmente il massimo grado di trasparenza, chiarezza, imparzialità, tempestività e "bla bla bla" cantando.


Orbene, nel mondo liquido del caro Bauman, la centralità dei messaggi e dei media, freddi, caldi o a bagnomaria, è caratterizzante fortemente la stessa  P.A. : il fascino del web 2.0, dei social networks ha pervaso anche le amministrazioni, rectius i loro ufficetti stampa retti dai gran capi e grand commis della comunicazione pubblica, alla recherche dell'eldorado mediatico, in un sistema integrato di “citizen relationship management”.  Parole altisonanti, viepiù se si pensa che dietro il paravento aulico, si nasconde l'improvvisazione raffazzonata ed artigianale più spinta: praticamente," 'a cart' 'e museca 'mman 'e cecate", con gli strumenti mediali applicativi, in grado d’innovare profondamente il modus operandi delle pubbliche amministrazioni e di migliorarne le performance (anche grazie al contributo ed alla collaborazione degli utenti/cittadini), gestiti puerilmente per scazzi ameni e vari, con l'uso personalistico del medium, e svariati episodi di censurette da minculpop, ed offese alla dignità altrui, portate come exemplum di gestione equilibrata ed assolutamente insindacabile.


Rebus sic stantibus, lo stesso Saint James Palace Hotel, Assessori e Consiglieri, per non parlare del Sindacuccio Giggnobello, che vi impiega quota parte dei suoi numerosi staffieri "accà 24",  prediligono le bacheche di “Faccia Libro”, per veicolare urbi et orbi il loro credo rivoluzionaire, o più prosaicamente informazioni utili e sensibili per la cittadinanza intiera: è il real time della politica nostrana, che fruendo della c.d. viralità del mezzo sociale, crea una circolarità dei flussi informativi che permette un contatto diretto tra amministrazione e cittadinanza. Il tutto condito da una bella spruzzata di cocozzanesimo al massimo grado, per un nuovo Talmud della politica naziopopolar-partenopea ai tempi di Giggino Murat.


Non ci si crede? Provare per, basta collegarsi a Facebook e cercare la paginetta ufficiale del Consiglio Comunale di Neapoli (sempre che non vi si neghi l'accesso e l'iscrizione), amministrata de facto dal Capo Ufficio di Saint James, Domenico "Mimmo" Annunziata, ribalta mediatica per attività di confronto politico tra i singoli utenti trasformatasi miriadi di volte in un "O.K. Corral" all'ultimo click, tra pistoleri arancio-cremisi in preda alla hybris sfrenata e da tastiera, con i critici-cittadini in disaccordo con la politeia demagistisiana, disarmati presi a pedate virtuali e sbertucciati alla berlina, al pubblico ludibrio, sotto gli occhietti immobili del "giornalista" e dirigente comunale.

Si dirà, dov'è la libertà di critica ed espressione, dove la tolleranza voltairiana? Probabilmente a far compagnia all'art. 21 della Costituzione, vetusto retaggio ormai da rottamare, e fate presto, che vi rendono bandana in cambio, alla giostrina giù all'angolo del Palazzo.





giovedì 22 novembre 2012

A GONFIE VELE



















"La bruttezza del presente ha valore retroattivo" (Karl Kraus).


Calamità innaturale, a futura memoria. Nomi da Paese delle Meraviglie screziato di gotico, Case puffose, celesti come occhi morenti, Vele Gialle, Rosse e Arcobaleno, Chalet Bakù, Vanella Grassi, hard discount e piazza-market per sostanze e persone, Visitors (Saviano ne ha vista di tv anni '80?) e visitatori, poliziotti, sirene, camurria e droga...droga a strafottere, a volontà, a voluttà.
Fumisterie illanguidite da "brown sugar", bianca tagliata e colombiana (ma non solo), kobret e "robbabbona" : impossibile ridurre l'infinito all'osso, impossibile sbreccare la superficie per saggiarne la consistenza, la portanza, d'un quartiere fatto di sangue, braccia e dignità, divenuto locus delicti, temperie per sfumature uggiose d'un grigio spesso e ferroso, come tondelli a rosicchiare il cemento. Scampia è tutto e niente, purgatorio per vivi e sudario per  morti, ghetto-alveare, groviera di rivoli che non sfociano nell'alveo , che si perdono nel nulla a raggiera, insule che si specchiano mirandosi, non incontrandosi mai.

Edilizia residenziale e popolare, figlia dei decenni orsono, di leggi speciali, di 167 e terremoto, di miseria e diritti agognati, d'un'urbanistica distorta, architettura carceraria, falansteri per derelitti, contrappasso per una città di mare con abitanti, stravolta dal sacco edilizio dei '60-'70 e ripagata con moneta sonante da Cassa per Mezzogiorno non più di fuoco, viepiù incendiario, ai limiti della liquefazione: Secondigliano era terra rurale, con attività piccolo-artigiane, cresciuta impetuosamente in poco più d'un decennio, drogata da masse stipate come partite di merce avariata, calderone dove politica, imprenditoria e malaffare hanno gestito gorghi di cemento e denaro, appalti e pacchetti elettorali. Il solito andazzo italico, la sempiterna decomposizione del tessuto civico, fatto a brani in periferie tristi e solitarie, scollegate da tutto, dalla quotidianità dei popoli urbanizzati, perchè Scampia è solo un arcipelago di calce e cemento, tompagni imbottiti di polistirolo e bolle d'aria, spore e miceti, perchè nei decenni a scorrere come grani di rosario ben poco è stato fatto. Poi venne l'ero, la coca e tutte le misture del creato; poi venne il Supermarket Scampia, il "trip" continuo della malavita.

Gnommero gaddiano, il degrado è frutto di radici nodose, che s'accavallano e storcono, ma son distinguibili se se ne dipana il filo, un legno alla volta: la voce passa per i luoghi dell'anima, e s'incarna negli uomini che battono la polvere, mischiandosi nella calca, sporcandosi le mani: "Si dice spesso che la causa del degrado sociale di Scampia è dovuta al fatto che le Vele furono occupate abusivamente. Bassolino lo andava ripetendo spesso. Ma se andiamo a vedere come stanno le cose, l’unica Vela occupata, lè la Vela Gialla,  l’unica che non ha subito processi di degrado sociale e di trasformazione strutturale, mentre le altre furono assegnate in base alle graduatorie dell’epoca". Vittorio Passeggio, è voce storica dei comitati di lotta per Scampia, si è battuto, leonino, armato di megafono, a mani nude, aedo antico, portando a casa risultati di rilievo, permettendo a molti nuclei familiari di abbandonare quei  ghetti che l'intellighentia politico-affaristica aveva predisposto, e d'insediarsi in nuovi alloggi, realizzati negli ultimi dieci anni a poca distanza dai lotti più degradati.

Le insule si riducono, gli spazi ridiventano più umani: le nuove Vele sono palazzine alte non più di cinque-sei piani, mancano solo gli ultimi assegnatari delle ultime quattro che svettano ancora.  "I lavori per il completamento di questi ultimi alloggi periodicamente si fermano, avrebbero dovuto terminare già da tempo, il Comune ha censito però circa 300 nuclei di nuovi occupanti: un terzo delle Vele esistenti sono di nuovo occupate, e non mancheranno i problemi per la soluzione abitativa dei nuovi occupanti". La voce della terra è veritiera, i clan premono, occorrono nuovi fortini, nuove piazze, nuove vie di fuga; la fedina penale di molti nuclei di "nuova generazione" è tutt'altro che immacolata, nella 167, abbondano i 416 bis: le guerre sul territorio hanno un costo alto, in termini militari e non, ma il controllo e la morsa devono insistere sul terreno famiglio, altrimenti gli affari ne risentono, il consenso scema e l'economia distorta s'inceppa. Come una pistola poco usata.

La società civile è un fronte sovente non compatto, ma omogeneo nel chiedere una soluzione al problema  Vele: il lerciume dei palazzi non riflette l'animus di questi mliti ignoti, abitanti del nulla, alfieri di una guerriglia di civiltà, perchè il core business di polvere e pallottole della Camorra Spa, non è il cuore pulsante dell'organismo periferico napoletano, perchè nessuna guerra è combattuta in nome d'un popolo che nella sua interezza mai appoggiò l'occupazione economico-militare dei clan. La mancanza endemica di strutture pubbliche, di cultura e buona amministrazione è concausa scatenante dell'illegalità, è vulnus incolmabile se non da parte di enti locali e Stato, linea maginot su cui s'infrange un senso di giustizia sostanziale (più che legalità formale) deriso ed umiliato, non soltanto e in buona parte dalla malavita, ma soprattutto dall'affarismo politicante d'un partitismo in caccia di voti sui territori, e che intensifica la sua pressione in occasione delle tornate elettorali.

Passerelle mediatiche per guitti e rampanti, cavallini storni, e puledri in corsa: da ultimo toccò anche al nostro eroe borghese, Giggino Murat, palesarsi come lemure e più volte, in quel di Scampia, soffiando sulle Vele per accrescere il consenso in vista d'elezione: nulla di nuovo sotto al solleone, per carità, l'han fatto tutti, eppure v'erano Napoli -Nord e Bagnoli come nadir e zenit della sua galoppata elettorale, chi non ricorda le sue folate a Passeggio, col fiero Vittorio appresso, a banchetto con Unione Inquilini e scampoli d'abitanti, alla recherche della soluzione, o almeno del buon consiglio? Passata la festa, gabbato lu santu: gli adagi son antichi, ma mediaticamente rendono senso e costumanza, dell'esser politico ad oltranza, e presente, solo per rapida tornata: dal ballottaggio, le Vele rimasero in balia, sballottate da vento. Ed il nocchiero a Palazzo, trincerato sul "Lungomare Libbberato", suo personale vallo d'Adriano: del resto non son forse meglio le vele dell'America's Cup, a sventolare sul water-front del golfo? 

Resta la fredda cronaca della nera a quotidiano e qualche buona notizia per Scampia: la RAI da ultimo s'è più volte occupata delle Vele, prima con speciali lunghi un giorno per raccontare la realtà difficile d'un quartiere al limite, poi con l'iniziativa " Fiori a Scampia", producendo un documentario a firma del giornalista Nevio Casadio, «N.U. Nettezza Urbana. Piovono fiori su Napoli e Scampia», presentato in anteprima nell’Auditorium della Resistenza, e che andrà su RAI Storia e TV-Sat sabato 24 novembre a partire dalle 23 in poi. Non mancava la passerella dirigenziale, con la Tarantola e Gubitosi in prime time e fila, Del Giudice presidente di ASIA (la raccolta differenziata mantiene indici alti nel quartiere), associazioni in lotta, comitati di base, disoccupati a protesta, legittimi assegnatari, occupanti abusivi, artistiti, teatranti, musicisti (Maurizio Capone dei Bungt Bangt sempre presente) ed un vice-sindaco in sostituzione, Tommasino Sodano, che il titolare aveva di meglio da fare. Del tipo prepararsi per la scalata nazionale cocozza, tra una partita del Napoli, un giro in bici a favor di telecamera ed un Coppetella a Via Caracciolo, chè i circenses non devono mai mancare. Sennò il Potere come si diletta?    



mercoledì 21 novembre 2012

UN UOMO SOLO AL COMMANDO



















"Ceux qui s'appliquent trop aux petites choses deviennent ordinairement incapables des grandes". (Francois de La Rochefoucauld).


“Citius!, Altius!, Fortius!”. Olimpica locutio, che ben s’attaglia al possente, onnipresente, “Sindaque du Role”, il Maire Partenopeo, lo zapatista napulitano, il Giggino Cocozzaro, sindaco per voluntas populi dal giugno 2011, e già applicatosi con lungimiranza e “bonapartenopeismo” egotimico e fluttuante a far terra bruciata attorno a sé: fermamente convinto d'esser in groppa al vento del cambiamento, Megaloman s'applica come novello Stakhanov, a soffiar dalle spalle la polvere dei nani che gli fan da contorno, lui Titano, che s'erge come Sol, abbagliando e disperdendone i satelliti.

Passo indietro: prima dell'ultima epurata, la Riccio, ex prefetto di Rieti e Piacenza, donna di polso e di legittimità, voluta dll'istesso Giggino Murat a capo dell'organo a direzione generale di Saint James Palace Hotel, toccò al Signor Rossi, l'angelo della legalità gianduiotta, quel Raphael voluto seeempre fortissimamente da Giggino, come Presidente d'ASIA, ormai alla deriva continentale; poi ci fu il tandem degli assessori Narducci e Realfonzo, sfanculati come sol uomo per divergenze "sindacali", con l'uomo al timone solitario, quello che non deve chiedere mai, e che quantunque chiedesse si risponderebbe da solo; a completare l'assortimento, staffisti defenestrati perchè vicini, troppo, ad ex assessori invisi, valzer di poltrone ad incarico e deleghe per consiglieri comunali viepiù fedeli, tourbillon per assessori sempre in bilico e scadenza. Giggino sarà pur sempe n'amico, ma meglio non girargli le spalle d'amblais e da presso.
Le stilettate arancioni, saranno pure rivoluzionarie, ma restano infisse pur sempre nelle scapole.

Riavvolgiamo il nastro: la Riccio si dice sconcertata dalla rimozione coatta,  restando di sasso ed "allibita, visto che fino a pochi giorni fa il rapporto mi era stato confermato come saldo", dall'atto pubblico di giunta a sconfessione: dove la ragione, ove il torto? L'aporia elicoidale pare solversi nella querelle della mancata firma di contratti essenziali per il precario mondo della scuola partenopea, minus habens da sempre, con aggravio esasperante per precari, maestre ed alunni. A breve giro v'era stato incontro al vertice, tra rappresentanti sindacali dei precari a targa Cgil,  Gigginobello e nuovo assessore al lavoro Panini (pure questi di targa Cgil), conclusosi con patto d'acciaio e stretta virile: la firma dei contratti sarebbe arrivata da presso, "ambress", dopo aver effettuato un rapido calcolo di quanto occorrente a far partire il godot del tempo pieno e del refection day per materne e primarie.

Pare fossero delineati anche i numeri in ballo da giocarsi a lotte (di governo, che al Nostro, Monti sta sul groppone) : 317 incarichi, 68 per il sostegno, 140 per gli asili nido e 90 per l’infanzia. Insomma, tutte le maestre (mordacemente pronte all'incatenamento diuturno e quotidiano) salve, almeno per un po'.

Poi che fu? Fu che la responsabilità della firma contrattuale spettante in capo alla Riccio non trovasse copertura finanziaria per procedere alla stabilizzazione delle precarie, indi la medesima si rifiutasse di apporre la sua crocetta sotto, si fece la croce e si barricò in un niet definitivo: "Prendono in giro la gente, quei contratti per le maestre precarie sono nulli, non hanno copertura finanziaria e quindi non sono validi. Non potevo firmarli. Così si creano false aspettative nelle persone".  La risposta della componente sindacale non si fa attendere: "A firmare deve essere la Riccio. E’ lei che a luglio consigliò la delibera approvata ad agosto con la quale l’assunzione delle maestre era considerata un servizio indispensabile". 

Invero, l'ormai ex direttore generale del Comune pare aver da ultimo appoggiato l'idea d'una fondazione a controllo comunale, come avvenuto in altre realtà, come Pomigliano D’Arco, Genova e Modena,  per garantire le attività di scuole e servizio mensa, di concerto con organizzazioni sindacali (che non mancano mai, ad abundantiam), ma di mettere la firma sotto al contratto, a rischio d'esser chiamata in causa dalla Corte dei Conti per danno erariale, nun ce penza nemmeno. La competenza dovrebbe passare ora all'Auricchio, braccio destro del Sindaco e capo del suo gabinetto: vedremo come si conchiuderà la storiaccia precaria ed il conto della Corte.


L'affronto al maschio-alfa-dominante, il margravio medievale che tutto sorveglia e controlla, costa caro, e la pelle del malcapitato constestatore del conducator gulliveriano viene piallata e a bella vista posta sulle scale di Palazzo: un uomo solo è al Commando, e lo "ius grilletti" per silurare il bastone nell'ingranaggio viene data a colpi di mazzuola cocozza, a guisa di carota. Ovetto killer perfecto, il buon De Magistris; la carabina è ancor rovente, il corpo ancor caldo, e la sorpresa non manca mai: chi sarà il prossimo defenestrato? A Palazzo c'è la riffa, e s'accettano scommesse.

Il Predator è sempre in caccia.

martedì 20 novembre 2012

"CCHIU' PALMA PE' TUTTI!"

























"Il tuo Parlamentare ha fame di voti, non affamarlo che affamiglia".

Refrain diuturno, ubiquo, sempiterno, perchè l'Homo Politicus parlamentare ha fame di voti, le terga son a rsichio, si terremota la legislatura, il bradisismo è ritmico e si rischia la collottola: dunque meglio una colletta di voti, tra colletti bianchi, sporchi e inamidati, ma non solo;  costruire una solida carriera partitica ed istituzionale costa tempo, denaro e fatica, e le fondamenta abbisognano di continuo cemento fresco per solidificare il montrum in costruzione. E cosa c'è di meglio d'un bel condono ad aedificandum, per garantirsi un futuro radioso e grigio, armato come cemento, a solidificare le chiappe in Parlamento ?

E' quel che avrà pensato l'epigono di Cosentino sullo scranno del PDL Campano, l'ex Ministro di Giustizia targato Nano del Porneo, Nitto Palma "Napalm", l'incendiario delle licenze edilizie, il distruttore delle autorizzazioni ambientali, il liberalizzatore degli abusi vesuviani, condonatore e conducator delle istanze di costruttori ed abitanti "abusivi" in quel di Roma: dopo aver provato invano a reintrodurre le immunità e guarentigie totali per i parlamentari, ci ha riprovato in Aula con l'anti-proibizionismo cementifero: un bel bacino di voti ca va sans dire, per il feudatario del partito destrorso e berlusconide in Campania. Ma Governo e forze miste di maggioranza-opposizione (PD, Lega, IDV) hanno escluso la calendarizzazione del d.d.l. sulla riapertura dei termini per le sanatorie edilizie (et ammèn, almeno per un po').

Nitto Napalm ha buttato la pietra dello scandalo edilizio nel mare magnum dell'illegalità in Campania e non solo: l’ex ministro della Giustizia è il primo firmatario di questo provvedimento scellerato (il sedicesimo tentativo del PDL, da gennaio 2010, di riaprire i termini dell'ultimo condono edilizio del 2003) , una coazione a ripetere distorta, eppure tanti troppi gli interessi in ballo e di chiara matrice (anche e soprattutto) affaristico-malavitosa. Solo un'idea della querelle e della mole di numeri in ballo: il "Rapporto Ecomafia 2012" di Legambiente stima in 258.000 gli immobili abusivi sorti tra il 2003 e il 2011, per un fatturato totale di circa 18,3 miliardi di euro.  La politica para-legale del Tappo di Cerone e delle sue schiere ha creato un "effetto aspettativa", contribuendo alla genesi (solo nel 2003) di quasi 40 mila nuove case illegali, con un massiccio incremento dell'abusivismo, crica il 41% in più tra 2003 e 2011.

Il cemento selvaggio, è settore d’ottima tenuta, che sfida la crisi strutturale delle aree ed indici economici in Campania e Sud Italia, in controtendenza assoluta rispetto al mercato legale degli immobili: imbarazzante è, ad esempio, il dato inerente l'abusivismo costiero nella Regione Infelix, con 476 infrazioni edilizie accertate, 100 mila domande di condono, dato esponenziale ed in costante crescita, secondo solo a quello siculo, con 630 e passa infrazioni. Per tacer degli ecomostri sorti come Scilla e Cariddi sulle isole del Golfo, tra Procida Ischia e Capri, a gelare il sangue ittico della Sirena: il rapporto "Mare Magnum 2012" parla di un vero e proprio bacino elettorale da spartirsi, col popolo mesmerico degli abusivi pronto a tutto per salvare il bene condonabile sì caro; e solo a Neapoli vi sarebbero circa 6800 e passa casette senza pedigree, sconosciute ai registri catastali.

"Mi hanno paragonato a Cetto La Qualunque - si difende il Palma campano - ma delinquenti sono le istituzioni della Regione, che hanno permesso abusi per oltre vent'anni": e certo il Bell'Antonio Bassolino non ha brillato per buona amministrazione (mammadocarmene! ) ed imparzialità politica, lasciando Napoli e provincia a boccheggiare sommersa da tonnellatedimunnezza, percolato e roghi tossici a sfumacchiare (e che continuano a straziare, nell'indifferenza mediatica generale), ma si farebbe torto all'Albanese paragonando Cetto al prode Nitto. Dopotutto La Qualunque rimane personaggio fantasioso a satiresca parodia, mentre il nostro Napalm, si bruciacchia la faccia per una manciata (seppur cospicua) di voti "abusivi".

Eco-mostri d'Italia crescono e pasciono, all'ombra delle emergenze in fiore; e più bella Palma non può crescere e svettare, se non all'umbratile brezza d'una poltrona ben radicata sul Montecitorio più alto.
Non lasciare che il tuo parlamentare sfiorisca appassendo, annaffia il suo bacino, che le elezioni s'apprestano.
E appestano, in cerca di condono.



lunedì 19 novembre 2012

Metti una sera a Teatro...



“Il Baciamano”, di Manlio Santanelli, atto unico sulla Rivoluzione del ’99, in scena al Sancarluccio.

 























Napoli – Vermiglia alba, sorta a Neapoli un dì pratile di due secoli (e più) orsono:  Sant’Antonio in processione, 13 giugno, lordure ed orde, di Sanfedisti  cardinalizi, per le rue ed il chiavicume di decumani non più plebei, ma ormai lazzari, e inquieti, ad unghiate scavando le cerevelle libberali  di Signure, che così è stato detto, così deve essere; Viva Tata Maccarone,  Viva ‘O cardinale Ruffo , ammèn e così sia! Che si fotta ‘a Repubbleca, che tanto so’ belle parole, chi le capisce,  le panze soo’ vuote,  tracimano e si gonfiano, s’abboffano, e al popolo solo panem serve, che i circenses son fuggiti, stanno a Palermo, e però….  

Napoli, interno giorno, i rivoli s’aggrumano negli interstizi d’un cantero popolare, una tana di Janara (una strepitosa, sofferta e vera Annarita Vitolo); “Signorno! E che d’è ‘sta Rivoluzzione??”, aura lazzara e ferale, cannibalico ascesso, per lupercalia di baccanti, ed un Penteo aristo-borghese (Vincenzo Albano) legato a salamella, nella tiella a raggelare: due correnti, l’una che ascende, l’altra s’inabissa, a metà strada ad annusarsi, schivando il viso, a nari piene, voluttà e discernimento, per fabula da grandguignol contata da un De Rais in vena umorale; macabra-cadabra , e le idee della rivoluzione, d’un ’99 franco-partenopeo diventano fiero pasto, rectius, pasto da fiere,per demòni coperti di rabbia e pezzenteria.
Janara è giovane-vecchia, della fiaba la prescelta, Circe dei basoli, occhi di bracia e cenere e vesuviana, fuso e arrocco in nome d’un Re che mai vide, ma sempe masculo è, e questo abbasta; rintocchi di trame oscure avvolgono lu giacobbe , gli tocca, il rintocco, e la fine “À la carte”, e da carnet , la forca rimane incantamento, fine sminuzzata come lepre in salmì, e questo è tutto. Oppure no, chissà.

Rimane il baciamano, limen tra due mondi, perché la lama ondeggia nelle mani della femmina, ma la grazia stavolta è nell’asso altrui, del maschio-capro a sacrificio, e tentenna Janara, persa sulla scena, tra un tavolaccio all’ara (pacis? C’est ne pas possible!) , mercede a sacrario per sacrifium del bel Penteo; per un momento rorida pelle scarnificata al tocco, labbra aggraziate s’ aprono a squarcio: borghese tres chic et illuminato spirto impetuoso, abbaglia la tiella, come fiamma zolfegna, ma è un lampo solo, ed al cuore si comanda, e la punta ne penetra il muscolo, e la storia divenne Storia.

Borghesi e sanculotti alla rovescia, intellectual class, nobili (anche clero, ad onor di verità), per un sabbah di corpi e croci puntute, spunte e crocicchi, e riverberi di luce, a scarnificare le pelli di rivoluzionari per osmosi, e Napoli sballottata in mezzo, per una manciata di giorni che scavarono il solco: di qua le janare, di là le Lionore (come Pimmentèl): anche se per un solo brivido, seppur baciamano, lo squarcio trapassa la scena, e le ombre si tendono, unendosi sulle assi.

Testo ormai classico (Santanelli come garanzia), attenta e “realista” la regia di Antonio Grimaldi, effervescente e d’applausi la Vitolo. Ottima scelta, al Sancarluccio dal 16 al 18 novembre.

I PRIMITIVI

























« Se sapessi con sicurezza che c'è un uomo che sta venendo a casa mia con il piano consapevole di farmi del bene, scapperei a rotta di collo. » (Henry D. Thoreau).

Primitivismo. Corrente trascendentale, da Walden imboscato, lontana dall'oasi del buon selvaggio, come rifiuto sistemico dell'oppressione intrinseca alla civilizzazione, sulla scia d'un radicalismo legato alla terra, rifiuto di politeìa civilizzante (troppo radicali le teorie di J. Zerzan), si propone la reconquista di libertà primordiali ispirate ad un modello di vita diaconico e morigerato, in sintesi simbolica con l'afflato nature e new age, un ritorno alle origini del pianeta uomo.

Primati, ed in Italique ve ne sono a iosa, creature arboricole dal pipino erettile (qualcun con l'aiutino), effetti da satiriasi proteiforme, affetti da sessuomanie callose epatologiche (da farne morbo de fegato), bava e lascivia agli angoli di bocca e pube (ah, Pasolini e la sua "ricotta"!), spacciano potere per foga libidinosa, per liturgie scoperecce da hard discount, pecoreccio aggradato al punto giusto, forse degradato, ma questo è il Belpaese, "prima vedere cammello", poi pisello, che il Politico ha fretta, a braccetto del magnaccia finanziario, deve esportare Mignottocrazia ed affari capitali.

Bienveneue en Malindi! Gli arboricoli italici son sbarcati in Kenya, in cerca di resort, al più di "riport", col Gran Biscione Nano del Porneo panza e crine al vento subsahariano affianco al ragioniere di Verzuolo, il truzzo-boss Flavio Briatore, che nelle pause mediatiche da one-man on "You're Fired!" (pare che il Boss su Sky ci prenda gusto, coll'Apprentice), riposa adipe e cafonal allure, parcheggiando chiappe chiare al Lion Sun di Malindi, nuova meta Billionaire per imprenditorucoli, gran dame, ricchi premi e gran cafonals, politicanti e truffatori d'ogni genere e sporta. Il tamarrone piemontese, gran biscazziere e condannato (tempo fa adescava polli facoltosi con banda truffaldina al seguito, beccandosi condanne in filiera dal Tribunale di Bergamo e di Milano) ha inaugurato di gran lena la stagione della caccia alla gnocca in Kenya, tra paradisi artificiali e guaches color nocciola e dal sorriso verticale, che davanti al fascino del quattrino facile, van via come il pane.

Forse che sia solo la cum passio comune e sfrenata per beltà femminea e per le curve e la bella vita, non solo da Formula Uno, ad aver attirato in loco, come sciame celifero, il Nano Bagonghi in pompetta e persona, simil-berlusconidi d'accatto, il bel Flavio col catenone al collo, financo i famigli  (la moglie per l'esattezza) del Genovese Pesto, il Beppuzzo Grillo, oppure v'è di più?
Terra sfortunata e derelitta quella che abbisogna di capitale raffazzonato e colonizzatore, le cui mire espansionistiche minacciano la solennità dell'essere e della natura, come un tempo la spada e la croce minacciavano le coste e le tribù, e le gentes venute dall'Oceano spargevano sangue e terrore per plaie inesplorate all'occhio europeo: prima vennero i dollari, ora circola l'euro.

Il Kenya è paese giovane, povero, indipendente dagli anni '60, dopo un colonialismo di marca prima portoghese e poi britannica, e fortemente "liberale" verso i capitali esteri e gli investitori stranieri: basta pagare e si ottiene tutto, o quasi, dalle licenze, ai permessi, agli appalti, agli agganci giusti; ovvio che un Berlusconano in figa dall'Italia faccia sempre piacere ospitarlo, così come le frontiere son spalancate per gli italioti alla Briatore, evasori e squaqqueroni, classe digerente in patria e d'esportazione, alla recherche di terre e carni fresche da insozzare, spolpare, riccastri e plutocrati in depressione post-Monti, incolti ed ammorbanti come mucillagine di scogliera. Eppure pecunia non olet, ed il puzzo provincialotto di questi novelli conquistadores, con pacco di banconote ( e non solo) bello gonfio, si colora di sfumature e nuances ancestrali, di bauscia paperoni cui tutto è permesso, perchè il "cammello da vedere", e da vendere, fa gola a tutti, e più ai poveri che non ai ricchi (eppure...).

Forse che due indizi non facciano una prova? Il nostro Nanoleone, esule e nomade,  insonne amleto scosso dai lemuri dell'italica critocrazia vermiglia, appena sbarcato dal replicante Briatore al Sole dell'Avvilire kenyota, cosa non ti fa e combine ? Sponsorizza il suo personale "uomo a Malindi", tale Marco Vancini, grande amico del Flavio, un leoncino e gaglioffo pronto a ruggire a comando, come console onorario nella cittadina africana: vuoi che non torni utile un'insula felice, un'Hammamet del buen retiro per gli anni a venire? E cosa è meglio del Kenya, dove non esistono trattati d'estradizione che intralcino i piani, ed i latitanti si sollazzano garruli e felici tra un mojito ed un latte di palma e cocco?


Mancini è noto ai locali per esser un imprenditore senza scrupoli e sovrastrutture verso la Grande Madre, la terra generatrice; il suo spirito ecologista è alimentato a napalm e cemento, e pur di costruire ed urbanizzare a scopi turistico-commerciali il territorio, ha desertificato corposi tratti di costa, svellendo le trame arboree come fossero erbacce e gramigna: gli ecologisti kenioti gli si sono scatenati contro, e come Masai fieri e inorgogliti hanno aperto il fronte di carte bollate e proteste serrate contro il governo italiano che intende nominare console il Vancini. Il che sarebbe un gradito regalo allo stesso Briatore, festante modaiolo che sta portando avanti il suo progetto di trasformazione e riconversione del Malindi: da cittadina e zona a turismo locale ed equo-solidale, a mega Billionaire il salsa zebrata, un barnum stroboscopico di lusso sfrenato & belle figuere ambrate, carne tremula e d'ebano per facoceri abbienti in fuga dalla terra del "porcellum" (almeno elettorale).

Il Tribùla (in piemontese stretto, "uno che fa fatica"), il self-truzzo- man tutto d'un pezzo, uno che ha "vinto sette mondiali, e do lavoro a 1200 persone", e che te lo dice prima ancora di stringerti la mano, pontifex maximus dai canali di Sky come manager indiscusso, accusato d'evasione fiscale in Italia per circa 5 milioni d'euro, è il nostro ambasciatore simil-berlusconide con tanga e pareo leopardato in quel d'Africa: nulla di cui stupirsi, nessuno scandalo, per un Paese che nell'ultimo ventennio è stato alfiere e vessillo della Mignottocrazia in senso politico-affaristico-finanziario-criminale e non solo venereo, perchè fin dall'alba della civiltà, gli uomini commerciano con quel che hanno sottomano di prezioso e in abundantiam, esportando il surplus dove ammanca e v'è carenza.
I primitivi son pur sempre all'avanguardia.

Si perde il "pelo", ma non il vezzo; e quantunque lo si perdesse, lo si può sempre trapiantare. Anche e soprattutto nell'A-frica nera.


domenica 18 novembre 2012

Il VENDOLAMLETO

 























“Essere più di centro o essere più di sinistra?”. Atavico è poi il dramma, diuturno ed imperituro, infelice soliloquio d’un pugliese assai frusto, svilito: lustri secolari, gli spettri sono catene, ombre derelitte che avvolgono il proscenio; “c’è del marcio in partitocrazia?”, ed Vendolamleto pasce, immalinconito e stracco, finchè gallo intona, triste e chiara litania. Cabaret Sinistra, e c’è del metodo nella loro follia, bisogna convenire: Bersani romagnolo, regista di piadina, rende il PD tourbillon di strana fattura, alla ricerca del centro che (mai) fu; “life is cabaret” del resto, di che cianciare ancora? Parlez-vous supercazzolaise? No?

Male, perché questa sera il Vendolamleto recita in vendolese stretto, con traduzione simultanea sul maxischermo (l’occhio stroboscopico, un occhio alla poetica e l'altra alla politica potrebbe all’uopo aggradare) e in italiano. Gli spalti merlettati son lustrini di chantosa, Roma è preda ambita, sta lì e rifulge, il gotico ne sfuma, tavolini di bistrot a far da Montecitorio e copertura. Bersani ha vinto? Ma ha un corvo sulla spalla, un toscano tra le labbra, ed è il Renziano che incalza di stocco, con teschio tra le palme, il nesso che gli sfugge: da rottamare il padre, per arcano veneficio, da riciclare il partito come sfatto radiatore, e con mano di fellone; D'Alema, vecchio baffo, è Iago, la madre non è Bindi, nessuno che che riposi, nel regno ormai bordello.

Garzone di Botteghe, oscure son le trame, di Tabacci vide l’ombra, lemure imbiancato che sfugge al suo sepolcro: Vendolamleto è il padre, in Renzi mai si specchia, il sangue chiama sangue, ormai troppa è la iattura. Vendetta, e che sia giusta! Ma può un vecchio figlio, un Vendolamleto con scappellamento a sinistra, compiere vendetta affogato tra fiumi di SEL e rivoli e poetastri? Sì, potrebbe, ma non può: muta nevrosi in ambigua malia, non plaude l’incestuoso imeneo, tra l'orde di Casini e lordure alla Penati, sibila e sghignazza, perde l’amata Puppato la contesa; trafigge Padre-Bersani, il Toscano, scambiando il baratto (a te Governo, a me un Ministero);  paga il conto, si sfida alla morte l’ex fraterno Di Pietro, che è furente, quel  ba-ratto gli è stato rapito, e a fil di spada Vendolamleto ne pagherà il dazio.

La giostra è follia, tra musiche e danze, sonetti politici mutati in scia di sventure: un hellzapoppin ciondolante, come tragi-commedia sospesa, l’orchestra che suona, la tolda del vapore s’inabissa, ed un Cavaliere, vecchio, urticante ancora in scena, batte gli zoccoli del suo Alfano, alfiere, come fossero (per)denti. “Tinto di rosso, il mattino attraversa la rugiada, che al suo suo passaggio pare sangue”, i versi di Heiner Muller riflettono il dramma, della Sinistrorsa baldanza è la nuda verità, che basta una stilla vermiglia di primarie per insanguinare un Partito intero, e questo e quanto (ma chissà, forse è sol scena).

“To be or not to be di lotta o governo?", ed è ipnotico flusso di pensieri a rincorrersi, Vendolamleto riflette sé stesso, il volto diaccio, la zeppola è floscia, finanche il ghiaccio nel bicchiere è sciolto, il Cabaret PD forse evaporerà come spuma ambrata: il futuro ormai passato, post-operaio, contra Marchionne?, le fabbriche del Capitale (e quelle di Nichi??) diverranno hard discount per frattaglie di vite da passare allo scontrino.

E il Bocconiano, sullo sfondo, ha lo sguardo distaccato e professorale alquanto; quanta prece per un Premier che snobba la sua vis? Rimane l’ironia del Fato, che si fece beffe dell’elettore, cullandolo ebbro per l'ultimo Day. Quello dell'Elezioni.

sabato 17 novembre 2012

DER KAKATONEN ARANCIONEN

























"La bruttezza di un oggetto è la condizione preliminare del suo moltiplicarsi su scala industriale".(Nicolás Gómez Dávila).

"Der Kakatonen Arancionen und Lunkomaren".
Sogno o son desto, per un incubo kafkiano in rive gauche, e lungomare, col sol dell'avvenire che s'infrange sullo scempio dell'essere, sic et lung, ora e sempre, spergiuro arancione di Sindaco coccozzaro, di più cazzaro, alla dinamicità e plastica bellezza della linea di costa e delle chiome spumose del Golfo, ad infrangersi sul kraken di cemento (per carità è rimovibile, a tempo determinato!), sfoggio muscolare di abissi del pensiero e kitch, per expo-sizioni mediatiche e folcloriche, gemellaggio in bandana e meneghino.

Il Maire non bagna Napoli, e mal digerisce la sua classica bellezza, l'affronta, l'affonda, offende, ne smembra il senso: prima chiudendo arbitrariamente e contra ius il Lungomare (a sua detta "Libbberandolo") poi pedonalizzando una via, la Caracciolo (di ben sei chilometri), trait d'union tra i bacini collinare di Posillipo e del Centro Storico, con una semplice ordinanza sindacale (ed in barba ai regolamenti ed ai piani del traffico e quello regolatore), infine organizzandovi su il suo personale circo barnum, la sua linea maginot da inventare e reinventare, tra baffi di scogliera abusivi e da rimuovere per Coppe Ammericane (ed il nuovo Sovrintendente Cozzolino ha recentemente tuonato contro la mancata ottemperanza dei vincoli a tutela), pizza festival, mandolini, putipù, piste ciclabili-inciclabili, clown di strada e sport village da fiera paesana, abusivismo ed illegalità spicciola, bancarelle e pizzicagnoli, ed infine anche il kakatonen arancionen per inaugurare la liason coll'arancione meneghino, il bel Pisapia, venuto a Napoli in pace per sponsorizzare l'Expo 2015 de Milàn. 

Altra bella piaga, l'Expò, un'idrovora di pubblico denaro, a cascata riversatosi in rivoli cementiferi per ingrigire le periferie metropolitane, per ingrassare le panze dei cummenda, dei politicanti, dei palazzinari gargantueschi, con volute e balenottere d'acciao a sbuffare, nel meriggio di cattedrali in deserto, spreco e relitti da impacchettare per i posteri, per le generazioni perdute, come i suoli agricoli riconvertiti  a forza di leges ed ordinanze a cemento-armato: e ci si arma davvero, contro sviluppo e futuro, contro volano e speranza. Miriadi di capannoni derelitti, costruzioni cieche come orbite senza volto, industrie in dismissione, eppure il cemento non concosce intoppi, è fiorente mercato dove si scambiano favori e appalti, voti e mazzette, clientes e papponi, marpioni e piranhas.

"La collaborazione con Napoli sarà importante, promette il ciuffo di Pisapia,  perché l'Expò sarà una vetrina delle eccellenze del nostro paese: sono già 108 le adesioni internazionali, un record rispetto alle passate esposizioni universali. Lavoreremo insieme perché l'evento sia volano di sviluppo per le nostre città".  Che qualcuno spieghi all'Arancione del Nord che a Napoli già da alcuni lustri abbiamo la nostra bella periferia lunare, con cattedrali di cemento ed alveari d'inedia e malavita, polene gonfie al vento come vessilli di lemuri bianchicci: scheletri e scampoli d'umanità resistente, in quel di Scampia e le sue Vele.
"Ed è subito serra". E noi chiusi dentro.


Guai a voi anime Pravde! Che nessun fermi il progresso, il Sol, l'Avvenir e la rivoluzione cremisi che avanza su scala nacional, solcando le acque tempestose dal Po al Sebeto: ma che qualche anima pia avverta pure il nostro Gigginobello, il Rivoluzionario Imbandanato, che di kakatonen d'abbattere in quel di Partenope ne abbiamo a iosa, e di costruirne altri, e in riva al mare, non è proprio cosa. O forse che sia creazione e scultura d'arte e contemporanea, come il "medio" di Cattelan, puntato stavolta contro il l'attonito sguardo della bella Sirena, a rischio di cecarne l'occhio come fosse Polifemo?

Ai posteri l'ardua scemenza.




venerdì 16 novembre 2012

Di Lotta e di Sdoganamento















Il Conformismo Politicante  piace a grandi e piccini.
Presupposto ontologico è il premeggiare comunicativamente, mediaticamente, sulla mota immobile della mediocrità autoreferente e referenziale, sul cicaleccio disturbante e malcreato, tendente alla caotica espressività emozionale, e mai razionale. Tale tipo di conformismo è viepiù massiccio, viaggia per isole comuni, intese sul senso mediatico et immediato, comunica per slogan, versi e gesti, istintualmente e sovente maccheronicamente, si rivolge ad una società di massa caratterizzata dal predominio socio-mediatico-culturale di strati medi e inferiori metropolitani inseriti in strutture di consumo omologo ed omologante.

Il conformismo varia nelle modalità e nel grado di accettazione delle idee ed opinioni prevalenti: i politicanti alla blade runner, replicanti di sottotesti, sottotracce (sottopancia?), monadi impazzite in uno schermo liquido, procedono per scissioni identitarie, per proclami sloganistici e sempliciotti; ed è tutta un'escrescenza di passepartout massmediologici, buoni a scardinare la credenza ancestrale, le false sicumere, a solleticare gli istinti autoconservativi e tribali più profondi, non certo ad innestare un logos strutturato e profondo, razionale e cartesiano. Primati della semiologia mediatica, roba da guinness, e facciamoci una bionda alla spina del conformismo di massa.

Il politico arrivato è vettore mobile di populismo tres charmant, gradiente funzionale alle sfumature della vox populi, il vellicolo che l'ha sgravato conta sul placido conformismo di un riformismo progressista para-rivoluzionario,come per il Sindacuccio in salsa cremisi, pizza con crauti, perchè il senso ed il dissenso s'accostano, vanno a braccetto, si sussurrano languidamente all'orecchiuzzo beddo. Indignato con gli Indignados, studente con gli studenti, giovane coi gggiovani; operaio dalla parte degli operai, contro i padroni, per il Sud, per la Piazza, svoltando a sinistra, imboccando il Movimento, tornando alla periferia, ma solo sotto elezioni, per puntare al centro del Potere, a Roma Capitale.

Uno che scassa, con una sciassa per tutte le stagioni, di rotta e di sgomento, di lotta e di Governo, ma che punta alla Conservazione, al movimentismo immobile d'una poltrona che conta, sempre e comunque. Giggino Murat è l'ultimo della schiera, i conformisti-populisti pullulano e son tra noi, cambiano idea, sfumano opinione, contano e se le cantano, a seconda dell'occasione: si arrendono all'evenienza. E' front-man di sé stesso, ha visto anche lui cose che noi umani possiamo solamente immaginare, e guai a chi replica! Ma il replicante chi è?

L'Homo Politicus, raccoglie i borborgmi della civile societas trasmutandoli in segnali decodificati, è un decoder di segnali sociali, e così dovrebbe essere, tale è la funzione propositiva della classe istituzionale di riferimento: eppure deve esser cauto, e forse "serio", perchè possono veicolarsi valori positivi, ma sovente anche dis-valori, antinomie razionali che cozzano col senso comune, con le categorie “giusto” e “sbagliato”.
Prosaicamente, resta pur sempre il dubbio che "l'esserci", sic et nunc, sulla scia d'un Heiddegger alle vongole, alla recherche d'un dasein polisemico, sia rincorsa affannosa all'ultimo posto al sole, allo sgabellino populistico (alcuni direbbero "predellino"), per innalzarsi sulla massa, per lanciare la cordata verticistica, in attesa di giungere in vetta. "E vott' a passa' sta jacuvella", perchè pur sempre alla pancia del popolo si deve parlare.