sabato 29 settembre 2012

DUE MILIARDI PER UN BUCO:














Il buco del Comune di Napoli è pari a circa due miliardi di euro. E a quanto trapelato in questi giorni, per gli ispettori della Ragioneria di Stato non basterebbero nemmeno 80 anni per riscuotere i crediti, che tra multe e tributi ammontano a oltre 400 milioni di euro. 


A salvare Giggino Murat dal possibile dissesto finanziario potrebbe essere solo un decreto montiano, via Qui rinale, per consentire il riequilibrio finanziario come già fatto in passato per altre realtà ed enti, come fu per Roma. La norma servirebbe in primis per le società partecipate, in cui si registrano le cifre in rosso più preoccupanti. 


Ma per ora Bela Montosi sembra non voler ascoltare la richiesta del Divin Giggino. E la delibera per il riequilibrio del bilancio va approvata entro fine mese, salvo deroghe dal Ministero dell’Interno.

Altrimenti diventerà impossibile pagare gli stipendi dei dipendenti delle società partecipate, molti dei quali già in ritardo da mesi. 

Come quelli degli operatori di Napoli Sociale, motivo per cui il caro D'Angelo assessore sta sbaraccando, togliendo baracca equosociale e burattini assistenziali, da Saint James Palace Hotel.


L'ennesimo gratta-capo per il Capo, in attesa di andare a Roma per un seggio o al minimo per una gratta-checca.

mercoledì 26 settembre 2012

Gli Svirtuosi di San Giacomino



















Ensemble proteiforme, frankenstein cocozza, gli Svirtuosi di San Giacomino, scartano lacerti di partiti e cabaret, forse cabernet, brani di rapsodie radical chic oppur soliloqui d´amblais, di populistico effluvio, ed irreverente cialtronismo "da camera dei bottoni" a manovrare; camerati bene-comunisti listati a tutto, per suture piddine o dipietriste , raspando il
voto a contropelo, in repubblicano (o repubblichino?), autarchico salotto demagistrisiano, boiseire per de-menti aperte, di più , splanacate, con verga e vanga per ammantar di nuovo i luoghi comuni, come fossero scaduta merce per rivoluzionari della domenica, mero sottoprodotto intellettuale, paccottiglia sfatta da rivender in lungomare, lungo corso per abuliche menti a consumare tempo, politica, ed umorale leadersimo d'accatto.

La loro Repubblica di Salotto arancio-cremisi, è imperfetto canto per dervisci impuri, fratellini, cu-giggini, consiglieri ed imprenditorucoli alleati e ratti da poltrone e prebende, retti ed allevati al bubolare ritmico e buffonesco dell'Homo Novo al Comando, perversi e sferzanti, d´istrionismo privato e pubbliche s-virtù: capitanati dal Macho Neapolitan-Alfa Dominante , garrincha neapolitano, zoppicante nell'eloquio, fantasioso nell'abbondanza di luoghi e clichè, istrionico e uterino quanto abbasta per le fregole delle signore dabbene e virtuosamente sinistrorse, per dar vita ad una sindacatura di calambours e lazzi "fotonici", scintille di parva intellighenzia a far mitopoiesi d´eroi mediali e mediatici moderni, partiti e consorterie forse del tutto "off", cardinaleschi porporati da sbertucciare all'occorrenza per poi baciarne teca e sottana all'abbisogna, onorevoli arraffoni e politicanti felini dalle unghie spuntate, fratelli senza coltelli organizzatori di barnum e festicciole, amanti ed egoarchi tronfi, con litri e chili ad imbellettarsi, profumi per sbertuccianti liturgie, per culturisti e staffisti della parola, svacantate di senso, per vie mediatiche e sociali da brufolosi facebookinari.

E' un cicaleccio continuo, inutile, che arriva all'orecchio come ictus rapace, capace a spegnere il genio sovente ingolfato della massa virtuale, son cinguettii per capri battuti (al muro?) dagli Svirtuosi, nero di seppia per intelletualoidi intagliati nella parva materia dell´apparenza, "masterizzati" in alte scuole per bassi profili, allucinati dall´ontologico nulla, scoloriti e sbreccati, ridimensionabili a colpi di satira, da ricacciare nel botro, borbottanti ed inermi, ormai stantii.

Frattaglie e brani di quasi corretta epistemologia political-amministrativa, moral suasion che vorrebbe fortemente esser urticante, irritante per chi segue il maelstrom conformista, e invece è ancor più conforme alla vaghezza ed alla pompa dei soloni vendoliani che ci trasciniam dietro, in questi tempi decotti sulla graticola d´un borghesismo ossificato, sintesi mirabile d´una stratificazione culturale da wikipedia morale, veloce a scorrere, impalpabile al lasso, inafferrabile perché mai ricercata.

Lo "Svirtuosismo da Saint James Palace Hotel" si spera non addiventi morbo pandemico che contagi le vecchie carni del tessuto socio-mediatico, facendone strali, sbocconcellandone quel po' di reale e non ipocrita flatulenza, quel ribollire grigio, ma almeno conforme o quasi all'essenza delle cose, che ammorba ed intacca il serbatoio a botte di intellighenzie fumose che vorrebbero tanto divenire, almeno se non famigli, almeno seguito di corte: la sfortuna è sempre trovare cattivi docenti vuoti, boriosi e sleali quanto abbasta, per segnare via maestra, e rivoli discenti, quali gli Svirtuosi, capi tribù spietati e satolli di sé, nel discernere il non-senso d´un cannibalico andazzo ripetitivo, questuante, di messaggi umilianti financo per la comprensione politica della massa più asprigna e caprina; servirebbe un taglio netto, con la testa del Reuccio di Palazzo a rotolar nel cesto d'un civismo finalmente cosciente dei propri mezzi e della propria virtù (ancor si spera).

Muerte ai pretazzi, ai dis-onorevoli, ai lecca-cool, oppure a loro vita eterna, per affermare la supremazia morale ed etica del proprio io immacolato? Mai ergersi a migliori, aristocratici bramini della casta degli intoccabili: siam noi ad averli eletti, siam noi a vergognarcene, perchè gli Svirtuosi son lì e ci restano, incuranti al tocco, spiriti totemici per chi si trastulla col vacuo apparire, per chi ricerca il tornaconto a spese altrui, per chi non ha immaginazione nè buon senso.
Siam noi a pargarne il dazio, fino al prossimo giro, fino alla prossima corsa.
O almeno, fino all'ultimo tweet.

giovedì 20 settembre 2012

LE DIECI DOMANDE A DE MAGISTRIS















 

 

 

 





1. Signor Sindaco, come principale atto politico, lei ha dichiarato più volte di aver liberato il Lungomare: forse intende averlo liberato dai cittadini, dalle norme, dalle regole e dal buon senso, in spregio dei vincoli paesaggistici, storici e dei piani di traffico e della viabilità, declassando Via Caracciolo da “strada primaria”, ad isola pedonale? Forse intende averlo liberato dagli abusivi, e dall'occupazione illegittima di pubblico suolo?


2. Durante la campagna elettorale del 2011, lei ha tuonato più volte contro “il “consociativismo trasversale” del bassolinismo d’antan, richiamando la cittadinanza ad una rivoluzione democratica. E’ lo stesso consociativismo che l’ha portata ad inserire uomini della vecchia nomenclatura partitica nella sua Giunta “rivoluzionaria”?



3. Signor Sindaco, nei suoi proclami politici ha più volte affrontato i temi cruciali dell’ambiente e della riqualificazione cittadina, in primis la bonifica dell’ex area Italsider di Bagnoli, con la definitiva chiusura della “Bagnolifutura s.p.a.”. Forse per bonifica intendeva sostituire i “vecchi” C.d.A. delle partecipate partenopee, con nuovi elementi nominati direttamente dalla Sua Giunta? Cosa è cambiato rispetto alla precedente amministrazione?



4. Se la Sua volontà era di “Riorganizzare la struttura amministrativa del Comune avendo come obiettivi efficacia, efficienza, trasparenza e partecipazione dei cittadini al procedimento amministrativo”, come spiega dopo un anno la mancata riorganizzazione della medesima macchina comunale? Come si spiega che il numero delle aziende partecipate del Comune, ad un anno dalla Sua elezione, non sia sensibilmente diminuito, con i costi per stipendi, benefits, e prebende rimasti praticamente inalterati? E come si spiega che i costi degli staffisti di Sindaco e Giunta siano lievitati fino alla cifra iperbolica di due milioni di euro?



5. Signor Sindaco, Lei ha dichiarato più volte che la “trasparenza” è una caratteristica essenziale della Sua azione amministrativa: come si concilia tutto ciò con l’allontanamento o le dimissioni forzose di elementi importanti della Sua Giunta, quali il Prof. Realfonzo, ex assessore al Bilancio, il Dott. Narducci, ex assessore alla Legalità, o dirigenti di sicura competenza, come il Dott. Rossi, ex Presidente di ASIA? Sono Suoi errori di valutazione, oppure tali elementi non hanno avallato alcune scelte non chiarissime da parte della Giunta?



6. La crisi economica ha fortemente ridotto le risorse destinate agli Enti Locali, Comuni in primis, da parte del Governo: una doverosa politica di austerity imposta che mal si concilia con la sua azione dirigista improntata alla realizzazione di sfarzosi “Grandi Eventi” sul territorio cittadino. America’s Cup, Stadio del Tennis, eventi sportivi senza soluzione di continuità sul c.d. “Lungomare Liberato” (da cosa non è ben chiaro): e’ questa la Sua unica politica amministrativa per il rilancio della città?



7. Signor Sindaco, è vero che suo fratello, Sig. Claudio De Magistris, manager ed organizzatore di eventi, che in passato più volte ha lavorato, retribuito, organizzando eventi culturali per il Comune, adesso lavora per il suo staff senza percepire stipendio, in qualità di “volontario”? Ci può dire quali norme prevedono l’impiego d’una figura così atipica nella P.A.? E quando collabora gratuitamente, a che titolo svolge le sue mansioni, in qualità di manager privato o volontario pubblico? Ed è vero che alcuni dirigenti comunali attualmente prestano la propria opera da volontari, similmente a Suo fratello?



8. E’ vero che Lei vuole porsi come interlocutore politico su scala nazionale? E come si concilia una tale visione ben più amplia, con la costituzione di grandi movimenti elettorali di massa, con la governance specifica e gravosa di una realtà cittadina complessa come Napoli? Da molte parti la accusano di voler sfruttare il palcoscenico offerto dalla città, per catapultarsi su ribalte politiche di ampio respiro, senza aver prodotto nessun cambiamento reale nell’azione di rilancio amministrativa.



9. L’istituzione di vaste aree di Z.T.L. (zone a traffico limitato) su tutto il territorio cittadino ha snaturato la stessa concezione di mobilità metropolitana: la maggioranza dei cittadini napoletani si sente “in trappola” nei propri quartieri, subendo decisioni calate dall’alto con piglio autoritario e non concordate democraticamente con la cittadinanza o con le Municipalità interessate. E’ questa la Sua idea di democrazia e di partecipazione alla vita pubblica?



10. Signor Sindaco, Lei utilizza compulsivamente il termine “rivoluzione” per designare la sua azione amministrativa, abusandone sovente sui media cittadini e nazionali, sui social networks e sulla carta stampata. Di certo e’ abbastanza rivoluzionario accentrare su di sé una ben cospicua quantità di deleghe, tra cui quella ai “grandi eventi”, alla “comunicazione e promozione dell'immagine di Napoli”, alla “protezione civile”, ai “grandi progetti e finanziamenti europei”, alla “polizia urbana”, ai “beni confiscati”, alle “politiche anticorruzione antiracket e antiusurai, “alla sicurezza e videosorveglianza”. Non crede che sia eccessiva come responsabilità gravante sulla sua persona?




Gentile Sindaco, risponda.

venerdì 14 settembre 2012

CITTA' DI AMARE CONCOMITANZE














Città di Mare con Abitanti (caro vecchio Compagnone), Napoli e le sue paillettes arrossate, la sua plebea pudicizia, i suoi posticci a raggiera; i Napoletani, e le loro impudicizie ad inganno, quel candore androgino, smerigliato e puntuto, d'una popolazione eterogenea e complessa. Complicata. Emerge, canto dolente, tenebroso, come “‘ cupa o rua o vicariello", una città immacolata e mai monda, pura di cunto ed essenza, eppure prosaica e insozzata, nell’amnios fetale d’un teatro periferico, polifonico, mai provinciale, come onfalos di gusci tufacei in disfacimento, con plessi ed architravi industriali, come masserizie scheletriche, ad indicare un futuro svacantato e svuotato di senso. Senso ottuso, ovattato, d’una maieutica minimalista, d’exempla in soffio di labbra, del far popolo, dell'esser tessuto sociale, e compenetrarsene; il Palazzo come antica camiceria, per vesti ben cucite, calate addosso a docenti/politicanti e cittadini/discenti che tendono ad ellisse, a circoscrivere una pluri-decennale attività, una “radio-attività”, che permea il terriccio, adattandone l’humus, e scavandone in costanza, e coscienza, fiumi di carsica politeia da rive gauche, da fumisterie cabarettistiche para-berlusconidi mai illuminate, e d’immenso, raro talento, per brezze politiche d'essenza sfumata e troppo esile al tocco. Sindacatura, come sciassa a tre colori per animalità da palco. Da fermentare, sobbollire, montare, di linfe e derive demagogiche e novelle, smussando gli angoli di boiseries sinistrorse da pianeta radical chic ed intellettualoide, da paraninfi/stagisti imbellettati, a sminuzzare il senso ermetico d’una piece da ribalta mediatica gaglioffa, fino all’ultimo pezzo, fino all’estremo lacerto da strappare come applauso. Linfa plebea; e qual miglior fiera da mostrare, esotico e drammatico vezzo, da belletti di scena pieni di finzioni sovrastrutturali, che quel nostro Sindaco, calato sullo scranno dal basso, anima alla deriva per un partenopeismo da rinnovare, partogenesi pensata malino (e venuta su alla men peggio), grotesque, vivida e comunque "incendiaria"; potere sospeso sulle miserie dei basoli, mutazioni simbiotiche d’identità lazzare irredente, tra un femmineo machismo avviluppato nelle trame amministrative fumiganti e vaporose, di più, vacue ed ampollose; posticci incartonati a far da pendant ad istituzioni in agnizone perenne (“Don Antonio" prima, adesso "don Giggino"), per la progettazione periferica d'una metropoli una volta regina d'Europa. Ed ecco il novello efebo-alfadominante tricoricciuto, Candide luciferino, spirto del tempo fosco, a recidere il capo d’un meridionalismo tendente al borbonico e defunto, e forse mai seppellito (spoglie mortali, annacquate, che smottano nel deliquio): Ferdinando, o Giggino, un Goodot proditoriamente mal-rivelatosi; e facce da schiaffi, da palco, Marzia, Sarah, Maria, Alessio, Alessandro, Claudio, il "Divin Claudio", pastorielli d'un presepe dirigista approntato sul desco dei soliti, quelli noti, quelli dal panciotto ridente e ruspante. Ma è carne tremula, disseccata, solcata da trucchi di scena e canti erranti, quella di Partenope: divine muse del Populismo politicante, cedono di schianto, come per colpo esploso e ferraginoso, per trame discinte e "perversismo" borghese, paludate vesti al corpus aggrovigliate, d’un membro in testa, capo e Primus simil-virile e mai ascoso, l’incedere dello Zeitgeist a pane e puparuoli dietro di sé, ingordo e folle nelle foie adolescenziali di Reuccio Murattiano, scazzamauriello famiglio e consociativista al di là dei proclami, "gabbatore" che in gabbia mise una città, ghettizzandola ed appiedandola senza ritegno e buon senso alcuno, alla recherche dell' unico culto perduto: il suo. Si sazia della sua verità, tracannando in alto il calice di abulici e laceri miti rivoluzionari che son più corrotti delle fiabe antiche, come se fosse di Perrucci la Cantata, trasfigurati da cantori stracciati in nobili preci litaniche, verba di popolo abbacinato, per una Parola disvelata, che rimbomba del suo verbo mediatico e storpio. Giggino sradica la fenomenologia della sua personale ribalderia voyeuristica, si scontra con la realtà delle sue rappresentazioni immaginifiche, il Falso Lume a fugare le surrettizie celebrazioni di una Neapoli - la Sua Napoli - dedita ad un’autorappresentazione blanda e sovente stucchevole, perché s-personalizzata, in guisa di costume, a prescindere dalla teatralità sociale d’un palcoscenico a barnum, adagiato sulle lepidezze d’una opposizione farlocca, interessata e comunque sempre più diafana. Canto del cigno, per una Politica ritualizzata ad libitum, sfruttata come corpo e merce, kitsch artefatto per travestitismo rituale, ormai di facciata; al pulsare ritmico d’un neon ideologico, che si riversa, lunare, sul lume (non eterno, semmai etereo) ad olio d’un decadentismo borghese piccolo-piccolo e ormai solo e soltanto scenico. E semmai osceno, perché non più autentico. Eppure la lengua del Potere s'accontenta d'esistere e nulla più, raccatta i lacerti, e s’ addobba delle “moderne” radici bene-comuniste, perpetuando il rito, impervio, d’una vaghezza conforme alla moda del momento, che s’adombra e rischiara ad uroboro, all’umido della sua muffa . Merito e plauso comunque al taglio mediatico, questo sì, barocco e arlecchino, della regia e delle scenografie di San Giacomo, che mantiene la livella sempre alticcia per delineare i contorni di nuove drammaturgie, con testi non sempre all'altezza, ma pur sempre fantasiosi, seppur poco incidenti. E come tali da maneggiare con formalismo vacuo, e senza la dovuta attenzione e cura.