domenica 2 novembre 2008

Il libro del mese: Leggere, perchè no?

Voglio per un attimo parlare di un libro che ho letto da poco, il Paese della Cuccagna della nostra ava-come-lava Matilde Serao. Una parentesi letteraria che spero di ripetere almeno una volta al mese. Perchè anche un libro graffia la mente, parola di Graffio.
I “demoni” di donna Matilde.
Matilde Serao era una donna moderna: giornalista, scrittrice, mente feconda e sguardo caustico sulle miserie del mondo, siano esse morali o materiali. I suoi “demoni”, lemuri impalpabili eppure dannatamente terreni, la tormentavano spesso nelle notti romane senza luna, le apparivano in sogno le facce smunte, gli sguardi affamati e le mani protese dei figli della sua Napoli, la città che tanto amava ma che, ingrata, per lungo tempo le negò i fasti ed i successi in campo giornalistico e letterario. Donna di cuore, dalla favella salace, sempre sferzante verso i capricci borghesi, eppur così compassionevole verso le debolezze, verso i “vizi del popolo”, del suo “popolo”. E in tale ottica va inquadrata una delle sue opere di maggior impatto emotivo, quel Paese della Cuccagna che affonda le radici nel tessuto popolare, nel ventre molliccio e brulicante della Napoli di fine ‘800, sferzato dallo scirocco che annacqua gli sguardi ed illanguidisce gli animi, ma che non può quietare i morsi di una fame antica, millenaria, belva inquieta e mai sopita che t’afferra il ventre ed ottunde la mente. L’opera è una rappresentazione viva, un presepe di anime indemoniate, romanzo corale, dalla tela spessa ed impregnata d’umori antichi, ferali: la Napoli di donna Matilde non è più la città lazzarona descritta nelle vivide pagine del Dumas, è una Partenope appesantita dal suo passato ingombrante, cristallizzata nelle sue figure piccolo-borghesi: è la Napoli di Mastriani, di Viviani, del poetico Di Giacomo; una nobile decaduta, svestita, o meglio, rapacemente spogliata, delle sue vestigia reali, del suo abito scintillante di ex capitale borbonica. I fantasmi della Serao sono uomini e donne che vivono la loro condizione umana con invitta rassegnazione, disperatamente tesi verso la tenue speranza d’una vincita al lotto, d’una bonafficiata fortunosa che li liberi almeno per un istante dai tarli quotidiani d’una vita logora e stracciona, costellata di miserie costanti e fortune estemporanee e mai durature. Sono maschere sfuggenti, dagherrotipi in chiaroscuro, comparse intercambiabili sul palcoscenico di una fragile esistenza che s’arrovella su se stessa, eppur non crolla, resiste, s’aggrappa alla più flebile speranza come edera tignosa. La prosa della Serao risente forse di una scrittura fin troppo impressionistica, descrizioni minuziose fino all’esasperazione, aggettivazione ridondante e barocca, eppure i suoi ritratti, quei bozzetti umani così vividi e luminosi, rischiarano con leggiadria i dedali stretti, i fondaci bui, i bassi lividi e limacciosi. Il suo tocco sicuro disegna contorni umani precisi, cesellando finemente, “sporcando” a dovere quelle figure popolari tanto amate: sotto il bisturi muscolare della scrittrice non risultano mai banali, e se a volte rasentano il ritratto caricaturale, la retorica del vicolo, non sfociano mai nella grassa sceneggiata, nella folclorica rappresentazione della realtà. La Serao rende omaggio ai suoi lillipuziani senza mai scadere nel pietismo meschino e cinico delle pagine alto-borghesi: il suo occhio è terso, e le lacrime d’inchiostro che versa per la sua gente sono vere, di un verismo crudo, che sente sulla sua pelle. Il Paese della Cuccagna è un’opera ancora vivida, drammaticamente attuale: Napoli è una realtà anestetizzata, chiusa all’interno del suo bozzo pulcinellesco, parodia eterna, immutabile, di uno spettacolo sempre più misero ed allucinato. Città- crisalide, attente da secoli una metamorfosi mai avvenuta: i laceri figli di donna Matilde non sono scomparsi, i fantasmi del passato trascinano ancora le pesanti catene. Perché anche oggi, come allora, il popolo ha fame, d’una fame eterea, non meno antica e stringente di quella fisica: è fame di dignità. Quella dignità che non si può reprimere, un grido lancinante nella eterna notte napoletana: e di questo la Serao ne era cosciente.

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