lunedì 17 dicembre 2012

Il Maire non Bagnoli Napoli

















"Napoli è una città che non conosce se stessa". (Ermanno Rea).



Paiono laschi e vaporosi i sogni neapolitani di trasformare Bagnoli in novella Goitzsche teutonica (la regione mineraria di oltre 60 km quadrati di miniere di lignite a cielo aperto, riconvertite in laghi e parchi a misura d'uomo): azzerati i vertici del C.d.a. della Bagnoli Futura e sostituiti con altri nomi assisi a poltrona, la società Bagnoli Futura rimane ancora un carrozzone vuoto, barnum periferico che ha ingollato proditoriamente negli anni circa 340 milioni d'euro, con previsioni di spesa lievitate come porcini all'ombra dello Sterminatore; circa l'86 % in più rispetto alle prime ottimistiche previsioni. Sarebbero 31 i milioni di euro impiegati solo per la bonifica, vexata quaestio per baloccamenti ventennali, mentre nel totale sarebbero circa 259.358.195 euro, i fondi stanziati per il recupero dell' ex area Italsider. Gratta e vinci, ma è il Prence Cocozza al kommando, che comanda: "Quivi sarà ricapitalizzazione, qui sarà futuro e rinomanza".

E già, perchè in campagna marzial-elettorale De Magistris si beccò perfino una querela dall'amministrazione della Bagnoli Futura, tuonando contro gli sprechi di pubblico denaro succedutisi nell'arco di più lustri all'ombra delle ciminiere ad archeo-trave industriale: ex voto per miniere amiantifere, scintille e polvere rossa, polmoni saturi di particelle deformi, ad imperitura memoria, per l'eternit dei secula seculorum.
Scoccava l'ora delle decisioni irrevocabili, la Bagnoli Futura andava sciolta ed azzerata, per preservare un futuro a Bagnoli e a mezza Napoli; tramontava l'idillio cementifero di chi è padrone d' ampia sacca in area (Caltagirone docet), e si puntava alla maxima riqualificazione in loco, per riprogettazione in chiave ambientale ed eco-sostenibile. Poi, di grazia, che fu?

Fu che il Cocozzaro cambiò verso, sistemò chi di dovere nei punti chiave e volle fortissimamente volle la ricapitalizzazione della società, dando in pasto alle banche beni interamente pubblici, quali la Porta del Parco, il Parco dello Sport e l’acquario tematico delle tartarughe, attraverso un atto di liberalità indiretto, e cioè trasferendo la proprietà degli stessi alla Bagnoli Futura, permettendo alla società di disporne in funzione creditizia, ponendoli a garanzia dell'elargizione del credito; un mezzo obrobrio giuridico, che incontrò le perplessità degli stessi revisori contabili, ma che non fermò il Maire che non bagna Napoli, permettendogli di rinnovare la sua rivoluzione sbrindellata. Ergo, la società diviene 'na meza S.T.U.( Società a Trasformazione Urbana), con obblighi in capo al pubblico per la bonifica ed il cambio di destinazione dei suoli, ed introiti sicuri per il privato che dovrà poi edificarci sopra e vendere gli immobili; ed in questa ubriacatura di nuovi volumi e cubature, la bonifica finisce in fondo al mare, a far compagnia agli idrocarburi aromatici et similia.

Nuovi strumenti e risorse per implementare l’influenza della Bagnoli Futura su tutto il bacino territoriale nell’ottica di una progettazione ampliata e di gestione d’un volume di beni e risorse che invece di diminuire, fino alla prevista estinzione della società come previsto, punterà al rafforzamento d’una azienda che finora ha ingollato finanziamenti europei e nazionali per una cifra ormai vicina alle iperboli matematiche.
Alla faccia della coerenza e della politica oculata e di risanamento. Alla faccia del bene comune e della democrazia.

Una politica mediatica fatta di "libbberazioni", quella del Giggino Murat, passando per il Lungomaire Caracciolo, tra Z.T.L. abnormi e malsane (il volume di traffico aumenta nelle zone limitrofe congestionando polmoni e lamiere), Movimento Arancio-ammuffiti e finendo con la liberalizzazione definitiva dei beni pubblici della collettività, posti sul mercato per bene-comunismo distorto, trasfumato in affarismo preferenziale per carrozzoni comunali in perdita perenne.

Nulla di nuovo sotto al Sol dell'Avvilir, basta portarsi dietro un ombrellino per ripararsi dai raggi della rivoluzione cocozzara, sperando poi che il medesimo non ci finisca dietro per davvero, laggiù dove non batte sole. Altan docet.

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