lunedì 25 maggio 2009

Leggere: perchè no?

“Ante Scudettum”. “Post Scudettum”. E’ la frattura temporale, la crasi del pensiero, quello “scisma d’ accidente”, che per una volta fu benigno e cortese, trasformando una sirena-cenerentola, nobile decaduta d’un regno impolverato, in Regina Tricolore, d’un azzurro celestiale, per un giorno di euforica pazzia , ahimè assai lontano. Un giorno di maggio dell’87, per la precisione. E che rivive nell’agile libello edito dalla Cento Autori, “Ti racconto il dieci maggio”, di Maurizio De Giovanni, giallista mordace, “azzurrista” convito per fede e passione. E di passione quel dì primaverile ce n’era eccome. Trasudava nei volti estatici dei coreuti della B, gli occhi curvati dall’attesa, sgranati come rosari consunti, fissi sul corifero partenopeo e parte argentino, l’Innominabile, Lui, “Isse”, semplicemente “Dieguito”. L’attimo fuggente d’una gioia a lungo invocata, quasi evocata, che diviene prece chiassosa, a fior di labbra indiavolate, per quella “Maradonna” laica, col suo codazzo di santini profani in calzoncini corti al seguito, disposti a cerchio sul verde del campo, vezzo apotropaico per allontanar scalogna e malaugurio. Una lettera a cuore aperto, che apre il cuore, il ricordo dell’”Invincibile Armando” e della sua schiera di crociati, il gagliardetto cucito nel petto, quando il calcio pareva ancora gioco sincero e picaresco, e non alchimia sintetica di atleti gonfiati, torelli dopati al nandrolone. Un racconto che si dipana tra le pailettes d’un passato pirotecnico, ed un presente annacquato, acquoso, sogno interrotto d’una notte di mezza classifica. Un’apocalisse policroma, coi quattro cavalieri della vittoriosa odissea di “Juve-Napoli, 1-3 ”, assiepati sugli spalti d’un San Paolo imbizzarrito, ebbro di danze e champagne, immenso turibolo a spargere stille d’incenso e sudore. E poi l’onda azzurra, anomala davvero, per una città da sempre rassegnata a leccarsi le ferite: Napoli lazzara, Partenope “descamisada”, che mise assieme i pezzi, le pezze, della sua miseria sbrindellata, cucendosi addosso il vestito buono della domenica. Di quella Domenica. Un fremito carnascialesco che pervase le mura della città incredula, riversandosi liquoroso per vicoli ed angiporti, epifania reale per un miracolo a lungo atteso, da sempre cercato. E miracolo fu. De Giovanni è cronista fazioso, invero, ma fedele al punto giusto, di quelli che s’infervorano giusto un po’, che gridano “E’ rigore sacrosanto!”, ma poi tirano giù i santi; che si cospargono il capo di cenere dopo aver dato fuoco all’allenatore incapace; che s’offrono in silenzio a consolar mogli, amanti e figlie dell’arbitro bicorne (meglio dir stambecco), cruciferi fujenti d’un Scudetto in processione, anime prave a bruciar di passione ne “lo maggior corner de la fiamma antica”. Ma a volte si sa, più dei fatti conta la Leggenda.

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