“Vomito. Una morsa acidula alla bocca dello stomaco, un sapore amaro che mi prende da un po’ di tempo a questa parte. E poi rabbia, tanta rabbia. Credo che l’evento scatenante, la bomba già innescata che infine è detonata, sia stata la visione di “Fortapasc”, il sincero film di Marco Risi dedicato ad un ragazzo normale, pieno di sogni ed aspirazioni e che voleva fare un’unica cosa nella sua vita: raccontare la verità, ad ogni costo, sempre. E che pagò quella scelta temeraria, forse ingenua, ma dettata da una reale passione civile, quella che dovrebbe coinvolgerti, che dovrebbe prenderti a venti, trent’anni, trasformandoti in una vampa di sentimenti e fremiti anche politici, con la P maiuscola. Giancarlo Siani era un napoletano sano, radioso e preparato. Con le spalle larghe, ma non abbastanza coperte, purtroppo. Fu isolato, lasciato solo, a sfidare le sue paure, a tener testa ai suoi fantasmi. Uno di quei napoletani che ti fanno venir voglia di inginocchiarti e baciare la terra dove si è nati, che ti fanno guardare l’azzurro del mare con una pienezza nel cuore, una speranza negli occhi. Perché se questa terra avvelenata, stuprata con tracotanza da politici corrotti (ne abbiamo avuti a iosa, quanti? Lo sa solo Dio…Lauro, i Gava, Pomicino, forse Bassolino…), posseduta con scientifica e criminosa lucidità da clan camorristici (prima i Cutolo, i Giuliano, i Nuvoletta, adesso il multiforme clan dei Casalesi) è ancora capace di partorire dei “folli” sognatori e puri come Siani, allora vale davvero la pena di soffrire all’ombra del Vesuvio. Ma non dovrebbe essere la norma, non dovremmo essere chiamati a fare gli eroi, nessuno ha questo dovere morale. Eroe lo dovresti essere, dovresti divenirlo per scelta consapevole, non per uno sventurato caso della sorte, soltanto perché hai scelto il mestiere sbagliato, e lo fai assumendoti le tue responsabilità, senza connivenze, senza paraventi dietro cui rifugiarti. Lavori a viso scoperto, con lo sguardo dritto in avanti, senza mai abbassarlo, e allora te lo abbassano loro, te lo spengono con una scarica di piombo in faccia. La Camorra. E il singulto cresce, il Vomito ribolle. Terre dei fuochi, è stato detto, se n’ è scritto in abbondanza. Ma cosa cambia davvero in sostanza? I fuochi ci sono ancora, il puzzo dei copertoni marci, bruciati di nerofumo si sente ancora nell’aria. Un tumovarolizzatore non ci risolleverà, non risolverà il problema. Ci affosserà di più, ancora più a fondo. E poi, la politica. E il vomito cresce, aumenta il suo volume a dismisura, un bolo infuocato che mi arroventa la gola.
Un sistema di valori clientelari, un servilismo strisciante, una connivenza criminale. Voti e appalti, tangenti e pallottole. Il simbolo di questa Regione sventurata è Mastella; il suo ventre prominente, il sorriso ebete stampato in faccia, il codazzo di parassiti al seguito. E lui non è neanche il peggiore, figurarsi il resto. V, come Vomito. V come Verità. Ma dov’è la Verità, dove l’avete seppellita? Sotto quale croce in disarmo si cela? In Campania, in Italia, si soffoca, non c’è aria. E quella che c’è è avvelenata. Taranto, con i suoi veleni dell’Ilva, i suoi tumori, i suoi non-morti che camminano; Catania, con i suoi debiti lunari, fallita come tutta la Sicilia, sempre più in mano, e saldamente, alla Mafia politichese ed alla Politica mafiosa; la Campania ed il suo scempio continuo; la Calabria e la ‘ndrangheta sempre più agguerrita, i veri capitali adesso vengono dal Sud, ed il Nord è complice, il Nord si nutre del denaro proveniente dal profondo mezzogiorno. Con buona pace di Bossi e Maroni.
A chi spetta il compito di raccontare la Verità? Chi deve sobbarcarsi quest’onere, ma anche questo onore? I Giornalisti. Quelli veri, i “giornalisti-giornalisti”, per ripercorrere un tormentone del film; e ci sono ancora, lo so, li sento. Poco ma si sentono, flebili echi persi nel vento, sbattono sulle pale dei mulini in cerca di riverbero, in cerca di Voce. Prima, Montanelli, Biagi; Siani, Pippo Fava, Impastato. Adesso Carlo Vulpio, il giornalista del Corriere che raccontava le inchieste di De Magistris; Marco Travaglio, e la sua Repubblica di Bananas; Michele Santoro ed il suo Anno Zero; Sandro Ruotolo ed i suoi baffi instancabili; Peter Gomez; e poi Antonio Padellaro; Fabrizio Gatti e le sue inchieste “Espresse”. Qualcuno perfino nelle “schiere avverse” del Biscione, come Luca Telese. Ci sono ancora cronisti ed intellettuali non asserviti, non inquadrati, liberi. Ed grazie al loro impegno e lavoro, se la V di Verità non si sovrappone del tutto a quella di Vomito. Il Nano è una farsa, ma dai risvolti tragici: siamo in Regime, è ora di dirlo senza tema di essere presi per pazzi, o d’essere smentiti da prezzolati firme appecorate. Il suo ennesimo attacco a quel poco di stampa libera che ci è rimasta, è l’ennesima tacca dell’asticella che s’alza, il Regime è sempre più evidente.
L’Italia non è un paese di Vespe, cani Fedeli, Mieli e Giordani, Scalfari solonici, Ferrari panzuti; o meglio non è solo il loro paese. L’Italia è anche il paese di Giancarlo Siani, e di questo gliene saremo sempre riconoscenti. E quando penso a persone come lui, il crampo alla pancia si attenua alquanto, ma non smette di rodermi l’animo. Libera informazione, in un Libero Stato”.
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