martedì 8 novembre 2011
L'Ultima Cera
Il desco è approntato, il Mestìa è al suo centro. Allarga il sorriso, benedice l'apostolato a sua congrega, alza il calice, cala la sacra ostia: come fossero in pena, come fossero Penati, già crepati, gli apostoli rivolgon lo sguardo a favor di Berlusconi, a favor di telecamera. Fidi e fidati, che cambian la marcia, innestando la retro; e "va' de retro, Silvio! Alla malora! Oste, porta via i resti, che banchettar con carogne non compete!". Quanti ne ha visti passare il Nostro, quanti i sottopancia, i leccaculottes, gli smutandati, smandrappati, lenoni che ha allattato, che ha allevato in questo ventennio. Il Mestìa li conosce, li blandisce, li riconosce a fiuto, qualcuna al tatto, ma son figli ingrati, eppur Lui è generoso. Non li ha mai traditi, li ha solo comprati, son oggetti cari al suo modernariato da museo cerato, oramai. La Sindrome dittatorella colpisce in senescenza, "dai nemici mi guardo io, che dagli amici mi guardi Papà", avrà rimurginato l'Unto e Bisunto dal Signore (Craxi?). L'ultima cera, l'ultima gag, forse, prima di spegnersi lentamente, fulminato come da cavo di corrente: perchè l'Unto è lì, a cincischiare da sempre con parabole ed antenne, ed è vecchio ormai, troppi acciacchi e reumatismi. Non resse il vento, nè i lampi. Un problema maniacale ai lombi, e restò all'antenna, attaccato da scossa fulminante. Assurgendo finalmente nell'Etere Profondo.
Adieu, che la Terra ti sia allieva.
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