PALLA DI NEVE
- Mago Genny, allora mia figlia si sposa, si o no? - La voce all’ altro capo del telefono era alquanto apprensiva, dato che la figlia di cui chiedeva era ormai una “giovine” quarantacinquenne decisamente stanca di sentirsi chiamare ancora zitella ad ogni pie’ sospinto.
L’uomo dall’altra parte prendeva tempo non sapendo che cartuccia sparare, doveva inventarsi una balla su due piedi ma che non fosse così lontana dalle speranze della sua interlocutrice.
- Signo’ la verità ? Nelle carte c’è confusione, il futuro è nebuloso, c’ho “l’Appeso” che non mi promette buono, ma la “Temperanza”….vediamo che cosa mi esce…aspettate signora…le carte devono essere interpretate sennò il responso non esce chiaro.
- Mago Genny…ma che è? È grave ‘sta “Temperatura”?
- No signora , non è la temperatura, questa è la Temperanza, una carta dei Tarocchi molto importante, del resto le carte so’ chiare signo’…ma non vi preoccupate, la giovane…vostra figlia …troverà l’ amore!Tempo al tempo signora mia.
Ma signora, non l’ amore piccolo, l’ “Amore grosso”, con la lettera maiuscola…signo’ secondo le carte ‘a ragazza se sposa entro quest’ anno, ne sono certo!
- Uh, che mi dite! Mago Genny ma siete sicuro? Quella mia figlia non tiene il giovanotto…si, insomma sta sola, manco uno che se la sia guardata a questa povera anima.
- Signora non lo so… qua le carte mi dicono che l’avvenimento è imminente: scusate la domanda…un poco indiscreta…ma vostra figlia è…ancora vergine?
- Adesso non mi ricordo di che segno è, comunque è di Marzo, vedete voi…
- Ma signora no, forse non mi sono spiegato correttamente. Dicevo la ragazza…’a guagliona è vergine? Cioè tiene confidenza con le cose…intime?
- No, io delle cose intime non so, ma poi…ne’ scusate ma a voi che ci importa delle intimità della figlia mia?
- Signo’- tagliò corto il Mago, che si stava leggermente rompendo i coglioni - Signora qua le carte hanno parlato, ma voi il vostro Genny lo credete? Io mica sto qua a prendervi per il cu…ve lo dico col cuore in mano, lo sapete.
- Si, ma io…
- E allora, qua la mano degli Arcani l’abbiamo avuta, il segno è chiaro…le carte hanno parlato, la ragazza se è vergine troverà prima l’ amore, se no…ma comunque, queste sono cose che deve vedere più un sessuologo, io sono un umile scrutatore, sì, sissignore perché io sono un mago serio signori miei, non come tanti ciarlatani che vi fot…formano un’idea sbagliata sui poteri della chiaroveggenza, che vi intortano di chiacchiere per farvi spendere più soldi colle linee che poi si sanno queste cose, chi vi risponde sta alla isole tropicali a grattarsi il pacco…di banconote che si fregano dalle tasche di quei poveretti che li telefonano sperando in chissà quale miracolo, pregando in un aiuto che solo il cielo sa…
Era partito. Quando partiva era peggio di un treno merci, sparava tutte le cazzate che gli passavano nella mente senza neanche pagare pedaggio ai lobi prefrontali. Il freno era andato, ed i pensieri sferragliavano sui binari della sua paraculaggine senza che nessuno potesse più fermarli.
- Sì, Mago ho capito, ma mia figlia…
-…Signo’ non mi interrompete, io lo dico per voi che vi fate fregare dai ciarlatani, che poi tra parentesi io potrei pure farveli i nomi di questi approfittatori, ma non lo faccio, non ve li dico perché sono un signore – e poi perché dovrei farvi pure il mio, pensò compiaciuto il mago – saluti mia bella signora, e non vi dimenticate che se volete l’amuleto di Mago Genny potete chiamare pure all’altro numero che vedete qua alla mia sinistra…o alla mia destra, vabbuò comunque dicevo, il talismano di Mago Genny, quello che previene il malocchio, vi tiene lontani gli influssi negativi, vi fa bollire l’acqua sul fuoco e se li scarfate sul medesimo fuoco ‘sti sassi… questi perfetti manufatti della scienza tarocca, cioè dell’arte dei tarocchi, vi fanno passare pure i dolori alle ossa. Sì, signora avete capito bene, pure i reumatismi vi faccio passare!
- Vabbè, Mago Genny io vado che si scuoce il sugo…Tu, Tu, Tu…
- … signora, signora? Come dicevo, se volete parlare in privato più tardi attacchiamo la linea privata così non fate sapere i ca…si della vostra vita alla gente, che poi si sa è maligna. La linea è qua in sovraimpressione, capito? Solo due euri al minuto…io so’ economico.
Linee libereee!
Il “Mago Genny”, noto ai mortali col nome terreno di Gennaro Pellecchia, di napoletanissimi natali e neanche così nobili, non era quello l’estetica dominante avrebbe classificato come un bell’uomo: diciamo che era alquanto lontano dall’immagine dell’”Uomo Vogue” che quella troglodita di sua moglie si ostinava a comprare ogni settimana sperando in quei momenti di dimenticare la faccia, la panza da commenda e tutti i pendenti al seguito di quello che una volta era un uomo, il suo uomo, e che adesso le pareva più un involtino primavera imbottito di peperoni. Oddio, non è che la signora fosse un fiore: a parte che non lo era mai stato, ma adesso era francamente appassita e da tenero bocciolo di rose, s’era trasformata in una insalata mista di rughe, unghie laccate e capelli biondo-cenere-un tempo-castani, ma che ora le pendevano dalla testa bombata flosci e sbiaditi come i tentacoli di un polipo asfissiato dal caldo d’agosto. E neanche cinquemilaseicentocinquantavirgolaventi euro di tette rifatte – il che faceva più o meno duemilaottocentoepassa euro a tetta – posate nelle mani lisce e perfette del noto chirurgo plastico Eugenio Filiberto Leonardi Strozzi, di antica stirpe di “lumi mannari” della medicina, avevano reso più appetibile la femmina, ormai sulla soglia dei cinquanta, in menopausa e con picchi di ormoni che neanche un provetto alpinista avrebbe mai scalato. Adesso la signora rassomigliava vagamente ad un trumò con gli airbags, un incidente di percorso cui la donna stava già pensando di porre rimedio, ma che a Gennaro in fondo non dispiaceva: adesso che la moglie aveva la circonferenza di Giuliano Ferrara non si sentiva più obbligato a compiere il suo dovere di uomo e marito. Fin qui tutto bene, ma alla signora la cosa non andava giù. “Ecchecazzo, io mi faccio fare ste pere spaziali e quello stronzo neanche mi guarda? No eh, così non va!”. E questo era il motivo della presenza in casa Pellecchia in quel preciso istante temporale del dott. “A. Girovazzi, commercialista e affini”, il quale oltre a ripassare i conti di Gennaro si ripassava la di lui moglie con evidente soddisfazione, soprattutto della fedifraga, che aveva sempre pensato che quell’”affini” comprendesse anche prestazioni extra, più da letto che da scrivania. Dopotutto “le pere” non a tutti piacciono col formaggio.
Lo squillo del telefono interruppe il flusso dei pensieri del mago: era dalla mattina che un tarlo gli rodeva dentro. Come un’ ape incerta e fastidiosa gli ronzava nel cervello senza sosta, facendogli imperlare la fronte di minuscole stalattiti di ghiaccio, nonostante la calura improvvida di quel giugno anonimo e pastoso.
- Pronto, qua è il Mago della serenità e della fortuna che ti parla amico mio, chi sei nella cornetta?
- Pronto Mago Genny, ciao…mi chiamo Bruno, cioè gli amici mi chiamano “Brunello”, perché non sono molto alto, diciamo che sono un tappo..senti, non volevo dire questo, insomma sono un poco timido… vengo subito al dunque: sono un paio di mesi che mia moglie è strana, credo che non mi ami più come prima. Mica mi nasconde qualcosa? Ti prego, vedi cosa dicono le carte.
- Eh, caro il mio amico, non c’è mica bisogno delle carte per capire che sei uno sfig…sfiduciato, ma non temere che per soli due euri al minuto io ti risolvo tutti i dubbi del mondo e tu lo sai che sulla mia amicizia, nonché sincerità, ci si può sempre fare conto. Del resto al giorno d’oggi le donne non sono più quelle di una volta – e meno male, pensò il nostro – ma dimmi, non voglio farti perdere tempo perché sicuramente sarai sulle spine…
- Eh, infatti – fu il commento infastidito dell’altro.
- Ecco appunto, non vorrei che si pensasse che io, il vostro Mago Genny, abusi del vostro tempo, non sia mai…allora dove eravamo rimasti?Hai detto che ti chiami Anto..
- Bruno, mi chiamo Bruno!
- Eh, Bruno, appunto. Allora, vediamo…che segno sei?
- Ma chi, io? Beh, credo Ariete.
- Ariete. Bel segno, un segno forte, di fuoco. Bene, bene…e tua moglie?
- Toro.
- Toro! Ah, e questo non è buono, voi vi state scornando perché, perché…
- Eh, perché?
E adesso, che si inventava? Non gli veniva in mente nulla. Girò gli occhi nella stanza in cerca di una ispirazione, puntandoli in quelli di Ernesto, l’unico cristiano che aveva accettato di lavorare per lui, esclusa la sua assistente personale, ma quella era un’altra storia. Il cameraman, un cubo di Rubik obeso che ormai superava i centoventi chili, lo guardò sbuffando, e mentre con una mano porcina si detergeva l’abbondante sudore dalla fronte, con l’altra gli faceva inequivocabilmente il segno delle corna, sventolandole in alto come un vessillo medievale.
- Mago, ci sei ancora, pronto?
- …perché…tieni le corna! – gli uscì tutto d’un fiato. Come sempre i lobi prefrontali dormivano della grossa.
- ‘O sapevo, chella zoccola accammuffata! Quelli so’ mesi, mesi! Che non mi pensa più, che non fa più l’amore con me…Mago Genny, quella fa finta di niente, manco s’inventa più ‘e male ‘e capa comm’ a primma, nooo! Quello me lo dice in faccia: “Mi fai schifo, io vicino a te non mi ci strofino più!”…
- L’ha pigliato per la vraghetta di Aladino!
- …Mago, mi devi credere, so’ due, tre mesi che scende più volte alla settimana, anche più volte in un giorno…di sera…dice che và a trovare le amiche…o dalla madre…Io la chiamo ma il telefonino è spento, poi quella torna, io le dico: “ne addo’ si’ stata?” e quella -“da mammà, il telefonino non prende…” oppure…”è la batteria”. E’ scarica…”. Mago Genny io sono sicuro, quella Filomena tiene un altro uomo…dammi una mano almeno tu.
- Non ti preoccupare, adesso vediamo nelle carte: vedi caro amico…e vedete pure voi a casa…il potere delle carte è grande. Ma le carte da sole non possono dar risposte sicure…è “il fluido” che entra in me e solo io riesco a cercare nella nebbia del futuro…solo io posso darvi una mano…e poi sono solo due euri al minuto, manco un caffè ci pigliate più…ah, questo non è buono!
- Mago Genny allora è vero, chella stronza! Ma le carte, le carte che dicono?
- Antonio, qua mi appare chiaro, e non trovo le parole per dirtelo ma…le carte dicono che vi siete scambiati i segni.
- Cioè?
- Mi dispiace Antonio, perdonami la franchezza ma… ‘o toro si’ tu…e mugliereta al massimo e ‘nu poco zoccola… Eh, questo io vedo nelle carte… ma non disperare che…pronto? TU, TU, TU...
- E’ caduta la linea. Speriamo che il nostro amico non faccia sciocchezze…l’ amore dà, l’ amore toglie… Vedete amici a volte la vita è strana, fa degli scherzi, ma il vostro Mago Genny vi può aiutare, chiamate con fiducia…il numero lo vedete qua sotto, so’ solo due euri, chiamate che il mago vi dà sempre una mano. Linee libereee!
- Gesù, Gesù ma tu senti questo che cazzate dice! E la gente lo chiama pure! Io non ci posso credere…ma come si fa al giorno d’ oggi a perdere tempo ancora appresso ai maghi? Ma poi fosse mago questo…io lo arresterei solo per la faccia che tiene…
Il maresciallo Tanassi, dei Carabinieri del gruppo “Pozzuoli” teneva gli occhi fissi in quelli dell’ uomo che parlava dallo schermo del piccolo monitor a colori, all’ interno di un camioncino bianco parcheggiato in seconda fila davanti allo studio di registrazione di “TeleFelice”.
- Ridi, ridi che fra poco ti cancello il sorriso insieme a tutti i denti…sarai costretto a mangiare solo pastine …ti lasceremo solo i soldi per comprarti la dentiera…
Dallo schermo si affacciava il sorriso largo e bianchissimo del mago, la voce dell’ uomo risuonava nelle cuffie audio del maresciallo.
- Sai che risate si fa il pubblico ministero, quando si ascolta queste registrazioni…Cuccurullo ma tu lo vedi a questo volpone? Embè, mo ti facciamo ridere noi… Il giovane Cuccurullo, da poco nella Benemerita, si avvicinò al maresciallo ed inforcata una cuffia, si unì al suo superiore nell’ ascolto. L’ombra di un sorriso si affacciò sul suo volto ben sbarbato.
Le indagini sul conto del Pellecchia andavano avanti ormai da due mesi e mezzo. Il suo curriculum era degno di un Arsenio Lupin di provincia: evadeva sistematicamente le tasse, truffava senza remora alcuna, emetteva assegni a vuoto che neanche Cecchi Gori, e non contento del suo bel “cursus honorum”, era indagato anche per detenzione e spaccio di stupefacenti, per lo più cocaina, nonché per intrattenere rapporti fin troppo amichevoli con alcuni pregiudicati della zona che gestivano un giro di scommesse ippiche e baldracche compiacenti.
- Questa volta ‘sto stronzo lo becchiamo. Altro che evasione fiscale…Cuccurullo, la pattuglia di rinforzo?
- Arrivano a minuti, maresciallo.
- Ok, pronti ad intervenire.
Intanto Gennaro Pellecchia era in pausa di registrazione nel suo”studio”, come gli piaceva chiamarlo. Sul tavolino, messe in bella evidenza e pronte all’ uso, c’erano quattro strisce di coca. La prima se la stava già tirando Giusy Parenti, la giovane assistente di studio, bionda e procace, che in cambio di una sniffata di felicità, intratteneva rapporti decisamente sessuali col mago già da un po’ di tempo.
Il quale mago stava già sudando le proverbiali sette camice - pur non avendone alcuna indosso al momento - per sganciare il reggiseno della sua solerte amichetta, sbuffando come un mantice paonazzo, quando i militari pensarono bene di fiondarsi nello studio senza neanche un minimo di preavviso, che spesso è utile al decoro, al grido di ”Alt Carabinieri, non vi muovete o vi rompiamo il culo!”.
Il cervello strafatto dell’ uomo elaborò due o tre rapidi pensieri, e cioè, nell’ ordine:
1: Sono fottuto.
2: Non si scopa più.
3: Due piste di roba non sono un problema.
Peccato che il “problema” si poneva per la busta sotto al tavolo, che di coca ne conteneva almeno un chilo e mezzo o giù di lì.
E in effetti le sue già ricordate amicizie lo avevano gentilmente pregato - e pagato - per tenere al fresco la droga, servizio che il nostro svolgeva in maniera impeccabile, non si sa se per i lauti guadagni o più per la paura che le sue già menzionate amicizie si rivelassero poi non così amichevoli.
- Merda - proruppe l’ uomo, ancora impigliato nel reggipoppe della donna, mentre Giusy, che aveva già tirato su tutta una striscia, emetteva dei gridolini isterici che in altri momenti avrebbe sicuramente apprezzato, ma che in quella situazione risultavano più fastidiosi di una mutanda di lana in piena estate. Spinse di lato la ragazza, si allungò sulla busta, e non sapendo che farci con un chilo e passa di roba, e con i Carabinieri che prendevano a calci la porta, stava sinceramente pensando di farla pippare tutta alla poverina, ma poi una sniffata suicida alla Al Pacino in “Scarface” sarebbe stata difficile da spiegare.
- Questi mi sbattono in galera a vita…forza stronzo fatti venire un’ idea!
E l’ idea venne così, quasi con naturalezza: volteggiò nella sua testa come un’ allodola ballerina e si posò leggera su di un ramo periferico del suo cervello di “homo poco sapiens”.
Nell’angolo, vicino al divano, c’ era la sfera di vetro che usava per fare scena durante la trasmissione, la palla di cristallo in dotazione a tutti i “Silvan” da strapazzo per scrutare tra le ombre del futuro. Svitò la base, ci ficcò la busta di cocaina dentro e richiuse il tutto con la velocità di un marmocchio sorpreso a rubare nella credenza della nonna. E fu così che il maresciallo Tanassi lo trovò, seduto per terra, sudato e congestionato, che scrutava la palla di cristallo opaco, accarezzandola con una mano amorevole e paterna. L’ altra era diversamente occupata: strizzava il culo della bionda in maniera decisamente poco elegante. La donna sembrava stranamente euforica: se ne stava seminuda sul pavimento, rideva di gusto ed emetteva trilli come un campanellino sbatacchiato dal vento.
- I pinguini, ah, ah…so’ arrivati i pinguini - diceva, inebetita, indicando i militari in divisa scura.
Due anni e mezzo dopo…
Pioveva. Era una mattinata grigia di inizio novembre e le nuvole dense non promettevano nulla di buono. Gennaro Pellecchia, soprannominato adesso “ il Mago di Poggioreale”, si lasciò dietro le spalle l’ ampio portone in ferro del triste e sovraffollato carcere napoletano, luogo di riposo prediletto da camorristi, ladri e scippatori d’ogni sorta e malasorte. Dalle patrie galere era uscito alquanto dimagrito e con i capelli spruzzati di grigio, come invecchiato di dieci anni in un colpo solo. In due anni e passa era stato ripulito e i giorni felici sembravano solo un pallido ricordo: niente più trasmissione, la moglie lo aveva lasciato, e la “bambina” - una ventenne più larga che alta - se lo vedeva gli sputava in faccia. Gennaro Pellecchia aveva un solo pensiero in testa: il suo futuro dipendeva solo dalla possibilità di realizzare il piano messo a punto durante gli anni di vacanza forzata. E il suo futuro non era affatto nero, anzi.
Era bianco. Bianco come la neve, anzi di più: come un pacco di cocaina grezza e pura. L’ idea era semplice: recuperare la palla di vetro imbottita di “polvere magica”, piazzarla per bene, farsi un botto di soldi e “fanculo a tutti, me ne vado alle Hawaii!”
Ma come sempre nella vita era questione di volontà e di culo: a volte le percentuali variavano ma il succo rimaneva sempre quello. E Gennaro sperava che per una volta il “fattore C” fosse determinante.
Una voce assonnata ed impastata, con i postumi ben evidenti di una sbornia da paura infine rispose al telefono.
- Pronto? Chi è?
Non c’era dubbio era Tonino, Tonino “Permaflèx” . Il nomignolo lo doveva al fatto che ufficialmente risultava essere titolare di una piccola azienda dell’ hinterland nolano che produceva molle per i materassi. Solo che i materassi arrivavano imbottiti di lana merinos, e ne uscivano belli ripieni di eroina e cocaina: così i materassi si afflosciavano di brutto, ma in compenso te li potevi pippare. Ma senza esagerare, altrimenti il riposo diventava eterno.
Gennaro Pellecchia e Tonino Permaflèx, all’ anagrafe Antonio Lo Mastro, si erano conosciuti qualche anno prima, quando entrambi frequentavano un centro massaggi e benessere, “Il Paradiso Terrestre”, dove in un ambiente posticcio che riproduceva una specie di Eden biblico, ci si intratteneva, completamente nudi e senza neanche la famosa foglia di fico a coprirsi i pendenti, tra procaci e voluttuose “Eva”, altrettanto nude ed alquanto mignotte, che pagando ti facevano assaggiare il loro frutto proibito. E tutto questo senza neanche il pericolo che venisse qualcuno a cacciarti dal paradiso senza preavviso, a parte la Polizia. E se di farti massaggiare non te ne fregava niente, potevi sempre fare affari nelle salette riservate per i “business men “, ovvero papponi, imprenditori, politici e camorristi di Napoli e provincia.
- Pronto, Tonino, sono Gennaro. Gennaro Pellecchia. Devi darmi una mano.
Un’ ora e venti minuti dopo i due se la stringevano.
- Genny bello, ma lo sai che ti trovo una vera…ma lasciamo stare…la galera bene non fa…comunque sei passabile…
- Tonì nun fa’ ‘o spiritoso, vorrei vedè a te a stare in tre metri quadrati, , con il cesso a mezzo metro dal letto, quattro di noi in una cella grande quanto una canadese a due posti, un albanese che non si capiva un cazzo quando parlava, e uno di Casandrino, che aveva un alito pestilenziale che non ti dico…lo chiamavano “ Veleno” e poi ho capito perché.
- Eh, certo non deve essere stata una barzelletta…piuttosto amico mio, ora che sei fuori, se posso fare qualcosa per te, lo sai sono a tua disposizione. Anzi, andiamo a prenderci un caffè così mi racconti tutto con più calma…due anni so’ lunghi da passare…
Sorseggiando un espresso denso e schiumoso, comodamente stravaccato al tavolino di una caffetteria della villa comunale, davanti al blu cobalto del golfo, Gennaro raccontò il suo passato recente all’ amico.
- …e quindi, una volta recuperata la palla, piazzo la roba e me ne sbatto di tutto e tutti, via da questo schifo di città. Tanto a fare il mago a TeleFelice non se ne parla proprio, quelli se mi ribeccano, le chiavi della cella me le fanno ingoiare… e poi non ho più niente che mi tenga legato a Napoli: mia moglie ho saputo che s’ è messa con un certo Ciccio Vitale…’nu curnuto che vende il pesce a Porta Capuana, n’ “affocapurpi”…qualche volta pure passo di là e gli sputo nell’ acqua dei capitoni. Del resto mia moglie è sempre stata volubile, è carta conosciuta…spero solo che la puzza di pesce ‘a fa ascì pazza!
- Gennà, che vuo’ fa’, le donne passano, ma che te ne fotte? Non pensarci più a quella stronza. Il mare è grande… c’ è sempre la possibilità di riemergere dalle tempeste…Tu adesso devi solo avere pazienza, fumati la tua sigaretta fino all’ ultimo tiro…e poi agisci. Comunque faccio qualche telefonata in giro e vedo di rintracciare l’ attrezzatura di scena…da quello che so, è stata sequestrata ma non so se l’ hanno venduta o sta ancora nei tuoi vecchi studi. Ma non ti preoccupare che te la trovo la risposta che cerchi.
L’ uomo era sincero e Gennaro almeno di questo ne era certo. Adesso si sentiva un po’ meno solo.
- Ma nun te preoccupà… Tonino è o non è amico tuo? Su di me puoi sempre far conto.
- Ecco, appunto.
- Cosa?
- Il conto. Pagalo tu, io non ho spicci…soldi in galera non se ne fanno.
La giornata era ancora lunga. Anche se aveva sempre bazzicato nel sottobosco dei piccoli truffatori, tra contrabbandieri di sigarette spacciatori di piccolo e medio calibro, qualche carta da giocare ce l’ aveva ancora. Si sarebbe seduto al tavolo della sua vita e barando come sempre, sarebbe andato avanti ancora. Il porto era decisamente lontano ma la nave stava lentamente ripartendo. Il piano avrebbe funzionato: nella sua fantasia già si vedeva, su qualche sperduta isola tropicale, con un mojito in una mano, un cubano in bocca ed una cubana seduta sulla sua panza molle. La cocaina era l’ unica possibilità. L’ avrebbe piazzata, e divisa in dosi gli avrebbe fornito il capitale sufficiente a ricominciare. Dall’ altra parte del mondo, in un altro luogo c’era un’altra possibilità: sognava una immensa pista da bowling, e davanti aveva una muraglia di birilli da buttare giù…e li avrebbe sparati lontano grazie alla sua “palla di neve”, bastava solo un colpo forte e preciso.
Si, ce l’ avrebbe fatta. Ancora una volta sarebbe riuscito a fare quello che nella vita gli riusciva meglio: fregare il prossimo. Il padre, buonanima, titolare di un esercizio alquanto abusivo di spaccio di tabacchi a via Foria, glielo aveva sempre detto: “Gennà, a papà, vedi che ti dico… poche cose ti lascerò una volta passato nel regno dei più… Allora appuntati questo pensiero che ti lascio insieme al bancariello e ai calli da scaricatore…”Meglio cummannà ca fottere. Ma si nun può cummannà, è meglio ca fotte”. Era morto a causa del fumo.
Anche se del mestiere, una sera stonato dal Tavernello, s’era tirato addosso un intero carico di “bionde”. Avrebbe desiderato ben altra fine. E ben altre bionde…ma tant’ è, la Nera Signora ha uno strano senso dell’ umorismo, a volte.
Si spense così, come un mozzicone schiacciato sotto un tacco distratto.
Mentre ripensava al padre gli scese una lacrima sulla guancia. Ma se l’ asciugò col dorso della mano, dato che dalla figlia voleva farsi vedere almeno sorridente, e anche se lontano anni luce dall’ immagine di padre felice, almeno le si voleva avvicinare il più possibile. Al cuore non si può sempre comandare, ed un cuore di padre napoletano è più esigente di altri. E poi tempo ne aveva in abbondanza, Tonino gli avrebbe fatto sapere qualcosa solo in serata perciò poteva fare tranquillamente una gradita sorpresa alla figlia. Ma la sorpresa la ebbe lui, e non fu affatto gradita. La ragazza, che aveva preso l’ altezza dal padre e la cazzimma dalla madre, quando lo vide sotto scuola, caricò a testa bassa, come un toro davanti al drappo o un napoletano davanti al semaforo rosso ed aggrappatasi con tutta la sua forza ai capelli del padre, cercava di procurargli una totale ed istantanea alopecia da stress.
- Uè, ma si’ scema…lasciami Marì… ahia…oh?! So’ sempre tuo padre, stai ferma, abbi rispetto!
- Rispetto? Rispetto di te? Sei uno stronzo, questo sei! Talmente fesso che ti hanno messo pure in galera, per le tue truffe da quattro soldi …Mago, zzè! E sei mago tu? E allora pecchè nun si scumparso? Così magari i Carabinieri non ti arrestavano…so’ due anni che mi pigliano per il culo a scuola…l’ unico mago che invece di far scomparire due fetentissimi conigli, ha fatto comparire due belle manette luccicanti!
- Maria, ma è così che si saluta un padre? Uno esce di galera, il suo primo desiderio è quello di abbracciare sua figlia e così viene ricambiato…ci manca solo che mi sputi in faccia!
- Eh, e tu quello ti meriteresti, ma non voglio stare al tuo gioco di ”vittima delle circostanze”…meglio che mi lasci perdere, a me e a mammà…lei non se lo meritava un marito come te. Che figura di merda, la tua faccia al telegiornale, tu e quell ‘ altra “sciaquetta” bionda…che poi si vedeva che non era naturale…chissà che schifo di tintura usa… Con che cuore le hai fatto questo?
- Eh, da quello che so, tua madre si è consolata presto: è sempre stata una mezza snob, un po’ con la puzza sotto al naso, l’unica consolazione che ho è che almeno adesso è puzza di stoccafisso… La gran signora, sempre ingioiellata, pareva ‘a Maronna ‘e Pumpei…però i soldi dal sottoscritto se li prendeva e zitta, mica se ne importava della provenienza, anzi, se ne vantava… “mio marito è televisivo: è mago delle carte” , diceva… A saperle leggere davvero quelle maledette carte, magari me ne accorgevo prima. E che mi è rimasto in mano adesso? Aria, aria fritta…ma forse me lo merito. Ho vissuto di chiacchiere fino ad ora, zeppole d’ aria dal sapore inconsistente, ma questa volta…
- Questa volta cosa? Cos’ altro farai per rovinarci la vita?
- No, niente, è tanto per dire…e poi anche tu, sangue del mio sangue, mai una volta mi hai fatto visita in carcere. Non ho mai avuto il piacere di vedere il tuo viso da vicino, mi sono consumato gli occhi sulla tua fotografia. Capisco che è un posto infame, ma che diamine… l’ unica faccia esterna che vedevo era quella dell’ avvocato, quello jettatore di Scartaccini, quant’ è brutto, tutto rinsecchito…una prugna d’ uomo! Sempre vestito di nero, lo chiamavano “aggiungi un cero a tavola”. Tu la sai la storia? Quello il padre, il Cavaliere Ernesto, era titolare delle Onoranze Funebri Scartaccini, brav’ uomo ma che mestiere sotterrà ‘a gente! E quello il figlio che fa? Diventa avvocato!… Quando si dice l’ idiozia…Ma dico io, tu c’ hai ‘na ditta bella avviata, ‘a merce nun manca mai, tieni pure ‘na faccia ‘e ciucciuettola, ne’ ma pecchè ‘e fatto l’ avvocato?! “Eh, non vi preoccupate Signor Pellecchia, ne usciremo, prima o poi ne uciremo…”, diceva. “ Avvocà, meglio prima, non vorrei farci un altro Natale qua dentro…e soprattutto vorrei uscire sulle mie gambe e non appoggiato ad un bastone, vecchio ed incartapecorito…”
“Fiducia, Signor Pellecchia, fiducia: vedrete che il giudice ci darà ragione, con qualche cavillo ed un po’ di fortuna…” Fortuna? Ma quando mai uno jettatore si attira la fortuna? E difatti…ne’ nientemeno quello il giudice non mi muore pochi giorni dopo? Un infarto! Maledetto becchino!
Due anni della mia vita buttati dentro, a contare i pidocchi e i minuti…il tempo non passa mai dietro le sbarre, figlia mia…
Nel frattempo la ragazza lo guardava interdetta, fissando negli occhi del padre uno
sguardo interrogativo: - E adesso che vuoi fare? Il tempo passa, le cose cambiano…
Adesso mamma sta con un brav’ uomo, almeno è onesto e non c’è da vergognarsi se si è voluta regalare una seconda occasione…Dovresti fare anche tu come lei: rifatti una vita pure tu, ricomincia a vivere e dimenticati di noi. Io, per quel che mi riguarda, una preghiera te la rivolgo: non mi cercare, almeno per un po’…voglio stare sola. Lo so che potrà sembrarti crudele ma è quello che voglio e che sento in questo momento.
L’ uomo abbassò gli occhi al suolo in cerca delle parole giuste, ma la lingua che era sempre stata ciarliera, adesso si rifiutava di emettere suono. In fondo sapeva che sua figlia aveva in parte ragione, non poteva certo definirsi un ottimo padre, non avrebbe mai vinto il titolo di “marito dell’ anno”, ma a modo suo si era impegnato per trovare la sua quadratura del cerchio. C’ erano persone che dovevano lavorare per campare, sputare sangue e sudore ed altre che guardavano gli altri sbuffare, accontentandosi di vivere rubando le briciole. Lui era sempre stato un “ladro di briciole”, una mezza tacca, ma in fondo era più onesto di molti altri perbenisti dell’ultima ora.
Il silenzio aveva scavato una trincea tra i due: padre e figlia si guardarono fissi, in un lungo e muto abbraccio fatto di sguardi. Gennaro sorrise, pensando alla figlia che ormai gli parlava come una donna fatta e finita. E pensare che fino a qualche anno prima la teneva ancora per mano, mentre ora era lui ad aver bisogno di una mano da stringere, di una guida da seguire.
- Beh, allora le nostre strade si dividono…almeno per adesso eh? Maria…io…niente, lascia stare. Cerca di essere felice e non fare del male gratuito, né a te stessa, né agli altri. Almeno una cosa mi sembra di avertela insegnata.
- Papà, scusami. Cerca di capirmi però, non è stato facile neanche per me…
- Già, lo immagino. Non deve essere facile essere la figlia del grande “Mago di Poggioreale”, eh? L’ unico illusionista al mondo che invece di togliersele, le manette, se le fa mettere…un Houdini al contrario, “ venite gente, venite! Guardate il mago più fesso del mondo!”.
Maria adesso rideva, e per il padre quello fu il momento più bello degli ultimi anni: la ragazza lo abbracciò, stringendolo forte a sé: restarono per un po’ così, per un tempo indefinito. Poi l’ abbraccio si sciolse come ghiaccio al sole, e dopo essersi guardati ancora una volta negli occhi, le due figure si allontanarono per strade diverse nel caos della città che indifferente come sempre, affogava i propri dispiaceri nel blu del Mediterraneo.
Trovare una cabina telefonica nell’ era dei cellulari, era un’ impresa disperata, come trovare un cesso nel deserto dopo aver mangiato dei datteri avariati. Finalmente l’ uomo intravide quel totem di vetusta modernità e si affannò alla cornetta, dopo aver scacciato una vecchia troppo loquace che lo mandò affanculo dopo averlo chiamato per ben tre volte di fila “pezzente” ed averlo minacciato di morte in almeno sette lingue, di cui almeno due sconosciute sul pianeta Terra.
Era libero.
Al terzo squillo la voce graffiata di Tonino Permaflèx gli rispose.
- Tonì, allora che mi puoi dire? Ti prego, dammi una buona notizia almeno tu.
- Giornata pesante, eh?
- Già. Ho rivisto mia figlia, e a giudicare da come sono andate le cose, penso che se voglio ancora sentirmi chiamare con affetto “papà”, è meglio che avvio le pratiche per l’ adozione di qualche piccolo africano…
- Come sei drammatico, Gennà. Comunque ti posso dare una buona novella…penso che le tue cose siano ancora recuperabili. Inclusa la tua famosa palla. Ho chiamato un poco in giro e a quanto pare la roba è stata acquistata dopo il sequestro…da un certo Giuseppe Santagata, nell’ ambiente lo chiamano “Geppy”, ha fatto i soldi con un giro di “modelle” che non si limitavano solo a sfilare a quanto si dice in giro. Al giorno d’ oggi queste ragazze sono sempre più giovani ed esperte…ai nostri tempi invece…Comunque sto tipo, ha avuto un po’ di problemi con la sua attività di bagasce di lusso, la polizia aveva odorato qualcosa…del resto la puzza dei soldi qualche traccia la lascia sempre. Adesso s’ è comprato un network locale, aspetta che avevo segnato il nome…ah, ecco qua. Si chiama “ Pollenatrocchia Canal Plus”…mi pare che stanno organizzando un programma tipo quello che facevi tu, con la gente che vuole sapere il futuro e voi che li prendete per il culo.
- Senti Tonino, io alla gente davo una mano, che ti pensi? La gente aveva bisogno di consigli e io in cambio…
- Li fregavi alla grande.
- Mettila come vuoi, ma non ho mai rubato nulla, le persone sono adulte e vaccinate e possono decidere da sole come buttare i loro denari. E poi se mi chiamano e vogliono una parola che li conforti, una “consulenza” , né ma pecchè l’ avessa fà gratis? E che so’ d’ ‘a Caritas? Tagliando corto…devo avvicinare questo “Geppy”, è l’ unica cosa da fare…devo entrare in quegli studi. Se la roba è lì, magari la sfera è ancora intatta, del resto se l’ avesse trovata la polizia se ne sarebbe parlato per giorni, il telegiornale ci avrebbe sguazzato.
- Magari l’ ha trovata Santagata…del resto se trovassi un pacco di coca come quello non andrei di certo a denunciarlo, sarà per deformazione professionale ma l’ ultima persona a cui l’ andrei a dire sarebbe un ispettore della madama…
- Già. E visto che non è trapelato niente nell’ ambiente le possibilità sono due: o la droga sta ancora dove l’ ho messa io, oppure…oppure lo stronzo se l’ è tenuta per sé, magari per uso personale, organizzerà feste a base di coca e mignotte. Solitamente questi cafoni amano lo stile hollywoodiano.
- Perché a te farebbe schifo una villa con piscina, champagne a strafottere ed un bel po’ di femmine nude a massaggiarti le spalle? Io mi metterei due tettone per casa, le pagherei solo per vederle camminare seminude…
- Sei il solito triste individuo. Io sono un uomo di stile…discutibile, ma sono un vero signore.
- Ah, ah, ah…ma a chi vuoi darla a bere? Non eri tu a scoparti la bella assistente, quella…come si chiamava…Giusy…non mi sembrava mica una cosa da buon cattolico e sposo fedele, sai?
Quel nome gli aveva acceso un spia: già, Giusy. Poteva tornargli utile la sua vecchia amante: era una bella donna, poteva essere l’ anello di congiunzione, poteva…
- Aspetta che ho un mezzo piano…sai se questo Santagata ha ancora la passione per le femmine?
- E che cazzo ne so’? Se non è ricchione le donne gli piaceranno…ma perche?
- Diciamo che mi hai dato un’ idea, Tonì: adesso però è meglio che vada, se voglio cavarci qualcosa da sta follia devo sbrigarmi…Grazie di tutto…adesso vado, ciao…se andrà come mi auguro ti scriverò dal Brasile o dall’ Argentina, là le donne sono più “calienti”.
- Aspetta Gennà…pronto? Pronto? Beh, statte bbuone …
- Click -
Mise giù il ricevitore e si avviò pensieroso per la strada: le ombre del pomeriggio avvolgevano le strade a ridosso della stazione come lunghi tentacoli invisibili. Il traffico di persone e macchine stava aumentando, i negozi chiudevano le serrande e le case riaprivano le porte. Gennaro si avviò pensieroso per i vicoli, tra gli sguardi di persone distratte, indaffarate a rincorrere la a vita. O almeno il parcheggio sotto casa.
Si era fatto decisamente buio ed incominciava a sentire un freddo pungente. In fondo quando lo avevano beccato era quasi giugno, in galera c’ era finito col guardaroba estivo e la giacchetta di lino non lo aiutava di certo a difendersi dal vento di metà novembre.
Appoggiato stancamente sul cofano di una vecchia Ritmo, stava sorvegliando ormai da più di un ora il portone del civico 38 di via Orazio, nella parte alta della città. Zona di bei palazzi e case da sogno: roba da medici, avvocati o professionisti della finanza, case di cui non poteva neanche suonare il citofono, non in quelle condizioni, almeno.
Al sesto mozzicone gettato via, finalmente scorse una figura familiare uscire dal portone.
Era una donna. Una bella bionda.
Camminava svelta, sculettando, e lasciandosi dietro una scia d’ un profumo forte, forse un po’ dozzinale. Prese delle chiavi dalla borsa color crema, dopo averci rovistato dentro come un gatto in un bidone dei rifiuti, spargendo il contenuto della medesima sul cofano di un furgoncino Fiat. L’ indomani il proprietario avrebbe trovato strisce di rossetto e mozziconi di matite per gli occhi, come se qualcuno avesse tentato di truccargli il motore con gli strumenti sbagliati, trasformandoglielo in una battona mezza sfatta dagli eccessi della notte.
Non c’ era dubbio, era lei: Giusy Parenti.
- Sei sempre ‘na bella femmena…- proruppe Gennaro alle sue spalle.
La donna si girò, decisamente sorpresa dal fatto che qualcuno la stesse seguendo: arricciò gli occhi miopi e mise a fuoco la figura poco illuminata che l’ aveva apostrofata, sperando che non si trattasse del solito tossico in crisi d’ astinenza.
- Chi è? Ma…uggesù! Ma sei tu? Gennnaro…Gennà, ma sei proprio tu? Madonna mia e che ci fai qua?!
L’ uomo non ebbe il tempo di rispondere, dato che un tifone biondo in minigonna tigrata e stivaloni zebrati lo investì, come un autobus guidato da un cieco, avvolgendolo in una nuvola di profumo vagamente orientale. Sembrava quasi che la ragazza fosse svenuta in una vasca di profumi ed essenze orientali, roba da procurare il mal di testa perfino a Buddha.
Era passato decisamente qualche anno dall’ ultima volta che i due si erano visti. Esattamente due anni e sette mesi: l’ ultima volta che il mago le aveva parlato stava cercando di denudarla per poi stenderla “orizzontale”, o anche “verticale”. Perché tarpare le ali alla fantasia di un uomo infoiato? Ma poi le strade dei due amanti si erano divise, l’ uomo s’ era ritrovato a convivere forzatamente con il già citato “Veleno”, persona amabilissima fino a quando teneva chiuso il becco, ma deleteria per le proprie facoltà mentali non appena si accingeva a spalancare quella specie di discarica abusiva che gli fungeva da bocca. Con la donna il destino era stato decisamente più benevolo, visto che non era stata incriminata per spaccio, ma era stata ritenuta estranea ai loschi traffici del Pellecchia, una povera ragazza vittima delle circostanze, colpevole solo di essersi scelta l’ uomo sbandato al momento sbagliato. E per non smentirsi minimamente, adesso erano quasi sei mesi che faceva coppia fissa con uno stimato ed affermato dentista di mezza età, che dietro la facciata di retto e probo pater familias nascondeva un’ indole di puttaniere incontrollabile e giocatore d’ azzardo al limite della patologia. Ovviamente questo nessuno doveva saperlo. Neanche la moglie.
- E allora come te la passi Mago Genny? Sbaglio, o l’ ultima volta che ci sia mo visti è stato anche il tuo ultimo giorno con la fedina penale immacolata? Certo che casino, i Carabinieri, le sirene, non ci si capiva niente più! Meno male che a me non mi hanno arrestata…anche se per un attimo ho pensato che mi avrebbero portata via insieme a te, pensa che finale romantico…
- Eh già, abbiamo fatto la “Turandot”, col finale romantico! Quella è stata una disgrazia, altro che operetta…mi sono distrutto la vita. Ma è stato meglio per te, non era mica giusto che ti rovinassi per colpa mia, in quello sei già brava di tuo. E poi il fesso già l’ avevano beccato, a te è andata di lusso. Del resto sei una di quelle donne che sulla loro fortuna ci stanno sedute sopra e manco se ne rendono conto. O almeno non sfruttano il loro potenziale fino in fondo. Senti Giusy, taglierò corto: mi serve una mano e non so a chi altro rivolgermi. Ma non ne parliamo qui, meglio un posto tranquillo.
- Ok, andiamo, ne parliamo in macchina.
Ma l’auto non aveva nessuna intenzione di muoversi, neanche di un millimetro. Le gomme sembravano inchiodate dal freddo, come se qualche vigile inopportuno avesse messo le ganasce alla vecchia Seat Marbella bordeaux. La vettura tossicchiò un paio di volte ma non sembrava voler recedere dal suo proposito: ferma era e ferma voleva rimanere. Neanche gli improperi della donna la commossero: allora si passò ai pugni sullo sterzo. Poi alle carezze. Poi di nuovo alle maleparole, ma l’ auto rimase ferma nel suo proposito e non c’ era altro da fare che prendere atto del fatto che il motore era decisamente un peso superfluo. Sarebbe stato meglio attaccare un mulo alla carrozzeria e farsi trainare dalla bestia a furia di calci nel culo. Ma non avendo asini o cavalli a disposizione…
- Mi sa che devi scendere a spingere – fece lei – perché questa quando s’ impunta non la smuove neanche il carro attrezzi, io la conosco.
- Carro attrezzi? Ma tu lo dovresti chiamare solo per fartelo portare a demolire sto catorcio, risale al tempo dei faraoni…ma porca puttana! Adesso scendo e te la spingo. Ok, sei pronta? Metti a folle per adesso mentre inizio a spingere…poi appena arriviamo sulla discesa metti la seconda e lascia di botto la frizione, e vediamo se ‘sta caffettiera riparte o no!
- Ok, Gennaro. Vado bene così? Ma qua non va, non si muove.
- Il freno…togli ‘o fren’ a mano! – sbuffò l’ uomo, tutto congestionato nonostante il freddo pungente della sera autunnale.
Il vecchio motore ansimò ancora un po’, come un branco di asmatici in crisi collettiva, poi appena sulla discesa ripartì di colpo. Gennaro fece appena in tempo ad aggrapparsi allo sportello e a montare dentro.
- Quello Beppuccio mi ha detto che me ne comprava una nuova, tutta per me.
- Beppuccio? - fece l’ uomo ansimando come una fisarmonica - Ah, già, il dentista…
- Sì, l’ ho conosciuto tramite un amica: “ quello è tanto bravo, dovresti vedere come mi ha sistemato un’ otturazione! ”. E così che l’ ho conosciuto…è tanto dolce, dovresti vederlo.
- Eh, infatti. Deve essere un amore spassionato, di quelli che ti riscaldano il cuore.
- Guarda Gennà che non è come pensi. Quello Beppuccio mi ama davvero: lo deve solo dire alla moglie, ma poi…
- Mi fa piacere che voi donne ancora date credito alle parole di un uomo sposato, vuol dire che per noi c’ è ancora speranza, figlia mia. Ma se permetti, essendo io un uomo, e in fin dei conti appartenente al genere di quelli sposati - anche se ancora per poco – ti posso sinceramente dire che il tuo caro “Beppuccio” ti sta molto semplicemente usando per soddisfare la sua libido. Per farla breve, più che il cuore, di te gli interessa il culetto.
- Stronzate - rispose la donna, stizzita.
- Sarà, ma dai tempo al tempo: due mesi e quello si sarà già stancato del giochetto…e poi se lo dicesse alla moglie, la dentiera servirebbe a lui. Le donne tradite sono tremende, quelle sposate poi… E’ meglio trovarsi faccia a faccia con uno squalo tigre, piuttosto che affrontare uno scontro diretto con una moglie cornificata. Ci vorrebbero i fucili per la caccia all’ elefante. Ma poi pensi sul serio che quello stronzo sia innamorato di te? Ti ama? Ma scusa, ma perché io a mia moglie le ho mai detto qualche cosa? No! E non ti raccontavo le stesse palle anch’ io?
La ragazza lo guardò seccata, sembrava sul punto di mollargli un destro in pieno viso, ma poi rilassò i nervi e le mani smisero di stringere il volante come se si trattasse del suo collo. Almeno si era risparmiato un bel cartone .
- Ma tu non avevi bisogno di un piacere? Lo sai come siamo volubili noi donne…ti conviene chiudere il becco.
- Hai ragione Giusy. Non sono problemi miei…io il mio problema già ce l’ ho, ed è per questo che adesso sto davanti a te. Ho bisogno di un pizzico d’ aiuto, solo tu puoi aiutarmi.
- Oh, bene, ecco che la vecchia Giusy ti serve ancora, eh? Come ai vecchi tempi?
- Diciamo che mi occorrono le tue arti di donna…di classe… per agganciare un tipo, un certo Santagata. Nel giro lo chiamano “Geppy”: sto tipo risulta essere il proprietario di un canale locale, la “Pollenatrocchia Network”… sì insomma…ho pensato di poter rientrare nel giro delle televisioni, io penso che il vecchio “Mago Genny” possa darmi ancora di che mangiare. E ad ogni modo, potresti ricavarci qualcosa di buono anche tu, non si sa mai, magari una trasmissione esce anche per te, ci potresti fare un pensierino.
- Uhm…e come pensi di acchiapparlo a ‘sto fesso? Mica puoi bussare alla porta “salve sono il Mago Genny, c’ ho le carte, il mantello e la palla di vetro: linee libereee!” . Come vuoi fare?
Occorreva una soluzione al dilemma. Del resto l’ amica aveva ragione, non poteva mica presentarsi davanti a quel Santagata senza neanche avere qualcosa da offrire in cambio: doveva per forza portare una moneta di scambio, e la sua moneta sarebbe stata la stessa ragazza. Oddio, detta così la cosa poteva definirsi equivoca, ma solo se la si guardava dal suo punto di vista. Ma a Gennaro andava bene così: il suo punto di vista era quello che gli stava anche più a cuore. E poi ne era sicuro, la bionda avrebbe approfittato della situazione, visto che scema non lo era affatto. Fingendo di averci pensato lì sul momento, prese tra le sue le mani di Giusy: “ Giusy, se ancora qualcosa di me ti sta a cuore…beh, io un’ idea ce l’ avrei, potremmo architettargli una bella trappola. Ascolta: fingiamo di volerlo intervistare…che ne so… tu potresti fingerti una giornalista mentre io potrei interpretare il ruolo del cameraman o del microfonista, la cosa è fattibile. In fondo fare il giornalista non sarà mica così diverso dal fare il mago, sempre di finzione si tratta no? Due stronzate le mettiamo insieme, magari qualche domanda te la scrivo io, per il resto te la sbrighi da te, darei una mano per essere sedotto da una sventola come te…Santagata ce lo cuciniamo come un pollo, stai a vedere che…
- …finiamo tutt’ e due in galera! No senti, la cosa mi puzza, e poi come sarebbe a dire che lo devo sedurre? Ma per chi mi hai preso per una “femmena ‘e lampione”? No, no la cosa non va, io ti sono amica però arrivare a prostituirmi per te mi sembra francamente troppo. Perché non gli dici semplicemente che facevi il mago e vuoi un ingaggio? Perché non essere sincero per una volta, magari ti porta bene. In fondo alla ragazza il senso pratico non mancava, bisognava riconoscerlo.
- No, mi sa che ho sbagliato a venire da te: tutto ad un tratto ti sei messa a fare la santarellina, come se non ti conoscessi…no in una situazione del genere l’ unica cosa da non fare nel modo più assoluto è raccontare la verità. Ma ti sei dimenticata che nel nostro ambiente campiamo di frottole e menzogne? E dovrei sputtanarmi così? Dopo anni di onorata carriera? No, scusami. E poi in fondo hai ragione, con che diritto me ne vengo qui, a cercarti dopo tanto tempo. Magari tu ti sei ripulita, mentre io… basta guardarmi, cazzo. Meglio che mi fai scendere qua, accosta che è meglio per tutti e due…- Fece per scendere dall’ auto ma la donna lo trattenne per un braccio, stringendogli saldamente le dita attorno al polso.
- No, aspetta, non volevo dire che sei un disonesto…magari lo sei ma con me non hai mai passato il limite, sei sempre stato sincero o almeno ti ci sei avvicinato, alla verità. E poi hai ragione, la televisione è un ambiente fittizio e più si finge e meglio è: allora diciamo che ci sto, ma a me cosa ne viene? E dico praticamente, non voglio altre chiacchiere, di parole non si campa, a meno che tu non sia un politico. Gennà, insomma…dammi almeno qualche garanzia!
- Garanzia? E che garanzia può darti uno che è appena uscito di galera? Bella mia, io manco una cambiale posso firmare, qua una garanzia servirebbe a me…comunque, se può farti sentire più tranquilla, ti prometto che se dovesse andare male questa cosa non mi vedrai più, almeno ti liberi di me.
- Eh già, se mi mettono pure a me dentro, mi sa che non ci si vedrà più per forza, carceri miste non ne hanno ancora fatte, o mi sbaglio? Comunque si è fatto tardi, meglio tornare a casa. A proposito un buco dove andare ce l’ hai almeno?
Lo sguardo dell’ uomo fu più eloquente di qualsiasi parola: sembrava un cane appena bastonato dal padrone - Ho capito…non c’ è problema, ti ospito io. E non c’ è bisogno di fare quella faccia da cagnone, spero che almeno non sporchi…a terra ho messo da poco la moquette - La bionda adesso sorrideva, guardandolo con sincero affetto. Gennaro si asciugò una lacrima, che solitaria gli scendeva sulla guancia destra. Fece per aggiungere qualcosa ma la donna lo fermò prima.
- No, non aggiungere altro, meglio che risparmi il fiato per quello che dovrai dire a questo Santagata. Non ti preoccupare, che almeno per questa notte non dovrai dormire sotto un ponte. .
Gennaro guardò la donna con un senso di soddisfazione: si sentiva orgoglioso di poter contare su Giusy in un frangente come quello. Si abbandonò sul sedile, facendosi cullare dal moto della vecchia Marbella. Le stelle erano ben visibili nel cielo, una pennellata degna del miglior Van Gogh, e le nubi s’ erano dissipate, spazzate via da un vento freddo proveniente dal nord. Il lungomare era quasi deserto: il mare, invisibile, rumoreggiava sommesso in lontananza, era una nenia perenne che addormentava i napoletani da secoli, cullandoli con misurata dolcezza. Chiuse gli occhi e si lasciò trasportare nei ricordi, mentre Giusy gli carezzava la testa ciondolante e sonnolenta. Sentiva quel tocco leggero tra i capelli, soffice e rassicurante al contatto: era di nuovo un bambino, tra le braccia della madre e finalmente si lasciò andare, addormentandosi sereno.
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