martedì 30 giugno 2009
Leggere: perchè no?
"Ricordi sfuggenti, sonnacchiosi umori persi tra le pagine polverose di vecchi sussidiari, antologie poetiche, bignami consunti da mani frementi, alla spasmodica ricerca del particolare morboso che arricchisse, rimpolpandole, interrogazioni rachitiche, sovente scarne di lessico e contenuto, ma benché mai di fantasia. E sì, perché da ragazzi s’era molto più attenti ai vizi privati di quei fini letterati, di quei pomposi condottieri che invadevano i nostri incubi, piuttosto che alle loro pubbliche virtù, così ben decantate in quei tediosi tomi che ci toccava traslocare da casa a scuola, più per rinfrescare l’aria ai medesimi, che non la mente a noi stessi. Come dimenticare le “sudate carte” del Leopardi, o D’Annunzio e la sua aura focosa e “maschia”, le tribolazioni sincretiche di un Manzoni, o quelle “fanciullesche” di un Pascoli? Ecco, Pascoli per l’appunto. Carlo Di Lieto nel suo ultimo saggio “Il romanzo familiare del Pascoli”, edito dalla napoletana Guida, cesella un profilo a tutto tondo del poeta forlinese (nacque a San Mauro di Romagna, paesello poco distante dalla città): uomo complesso, figura non scevra da contraddizioni, chiaroscuri umbratili ne segnarono il destino, plasmandone l’arte. Una psiche che s’arrovella a chiocciola su un ego ipertrofico e dispercettivo, segnata dal traumatico lutto paterno, che un in torrido giorno d’agosto trovò la fine sulla via del ritorno, stroncato da una fucilata anonima che grida ancora vendetta. Un urlo straziante che s’impresse a fuoco nell’animo del piccolo Zvani, determinandone un’ipostasi emotiva, una regressione forzosa al “nido di Castelvecchio”, tra mura amiche e passioni familiari, sacco placentare di materne pulsioni, in cui il Pascoli si reinfetò assieme alle amate sorelle Ida e Maria, partorendo dal senno un “fanciullino” candido e accorto, tenendolo a balia nelle amate tenute, senza mai svezzarlo del tutto. La disgrazia occorsa li ricongiunse sotto l’egida del Nostro, in una sorta di infatuazione e mistificazione infantili, un nostos omerico al mondo degli affetti e dei sensi, anteriore alla responsabilità dell’adulto; quel mondo da cui s’ era trovato escluso sì drammaticamente, e senza possibilità alcuna di riviverne il ricordo se non nella sua forma poetica. Un nido difeso col sacrificio, in primis il suo: rinunciò financo alla sua essenza di uomo, sublimando una sessualità inespressa nei versi cristallini di opere che si tramandano ancora, eterne ed immutabili. Proprio come il suo fanciullino".
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