Un “Io” agente indomito e polimorfo, monade sulfurea, silloge di sensi e coscienza, sintesi mirabile di alchimie neuro-sinaptiche e socialità esogena, permeante; oppure flusso di pensieri eterodeterminati, arbitrariamente orientati, la volontà di potenza ridotta ad involontaria impotenza?
Quale il limen, gli ombrosi confini, o meglio gli “sconfini” della nostra percezione egopoietica, del nostro sentire? Esiste un atto volitivo scevro da implicazioni deterministiche, patogenesi d’un “deus ex machina”, capriccioso e morboso nella sua voyeuristica contemplazione? Un’agire progressivo, positivo, che non sia corredato da ciò che vulgata vuole denominarsi “movente”, ovvero “causalità motivata”? Autodeterminazione, l’ovvio dei pargoli, quella sensazione mirabile che pervade i piccini quando s’ergono in piedi, stazione erettile che ne configura la cospicua volontà di agire nel mondo, facendo da sé. Ma arduo è il sentiero, rovinoso ed impervio, per giungere, adulti, all’autocoscienza, alla percezione dinamica dell’essere in quanto agente, rovello percettivo che s’accompagna all’animale uomo fin dal suo primo apparire, all’ombra dei totem e dei riti propizi.
Una coscienza che diviene assillo, che pretende di disegnare i contorni orografici della umana personalità, una “voluptas agnitiva”, che diviene rincorsa cognitiva, ad afferrare il senso intrinseco di un vicenda per gran parte ancora mistica, insondabile, quale l’umana esistenza. Prova a riannodarne i fili, solvendo l’arcano, Roberta De Monticelli, filosofa e docente, autrice di un saggio illuminante sul concetto sovente abusato, per non dir consunto, di persona, “La novità d’ognuno”, edito da Garzanti. Un excursus filologico, complesso e alquanto esaustivo, una recherche esegetica che gravita nell’orbita d’una definizione, per sua natura mutevole, difficilmente etichettabile, della “personalità”. Cosa distingue il singolo, l’individuo, nella sua speciosa appartenenza al genere filogenetico, il suo essere “unico”all’interno dell’universo-specie? Un incedere vorticoso, prendendo le mosse dal classicismo aristotelico, all’ombra gotica della scolastica medievale, duellando a singolar tenzone in dispute “arbitrali”, tra Leibniz e Spinoza, passando per l’imperativo kantiano assurto a legge morale, approdando infine ad una concezione “neofenomenica” del mondo (Hegel docet), una realtà subornata ad una visione soggettiva, perché “oggettivamente personale”. Una “teoretica della persona”, della sua individualità specifica, quella avanzata dalla De Monticelli, analisi istologica del soggetto-uomo, come sintesi d’una concatenazione motivazionale implicita (ma sociale, quindi anche esplicita) d’atti volontari non coartati, quindi liberi nella loro sostanza. Un “homo novus”, prodotto singolare d’un’evoluzione progressiva, costola d’Adamo o forse reflusso del Caso, simulacro senziente d’una identità materiale, vinculum substantiale d’una ecceità complessa, quella determinazione insita in ognuno, impalpabile eppur manifesta, che si è soliti chiamare “identità ”.
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