venerdì 28 ottobre 2011

Avanti Populism!




“Noi siamo i soli a considerare chi non partecipa alla vita pubblica non come un cittadino tranquillo, ma come un cittadino inutile”.

Seme ed eloquio d’un Pericle d’antan, sintesi di vulgata popolare in salsa ateniese, s’era intorno al 430 a. C. quando il nostro s’accingeva a smollare il potere, dopo un trentennio sul pulpito più apicale dell’Ecclesia ellenica che fu (e peste lo colga! Come, ahimè, lo colse).
“Etade di Pericle” par si dica, indicando un vetusto periodare di progetti d’arte varia e cultura pop(olare), a nome dei più, e di maggioranze eque ed egualitarie.

Veloci s’affastellano gli evi, forse gli avi, ed in quel di Neapolis, città ellenica e meticcia per antonomasia e velleità, ecco il prode Giggino Murat, varare in un lampo, arandone il campo, la sua personale ecclesia popolare, un distillato di démos e cràtos in ragù al bacio, sul fuoco e sulla cenere (bassoliniana) a pippiare.
Mesdames e Messieurs, vestite la sciassa delle assisi comuni, i beni son del Popolo! (“Soviet fratelli far festa!”). E giù nell’impasto, gaudenti e flambè, come chef da cousine, frattaglie di democrazia rappresentativa, lacerti d’assesorati e consiliature, feijoada di Porto Alegre, uno spruzzo di democrazia diretta e costituente, ed a commiato dal desco una corposa chocolat Svizzera e referendaria: benvenuti “Da Giggino, voto ‘e press”, et voilà, la Costituente è servita!
Oppure preferite il Laboratoir Parthénopéen, dove s’ammischino fragranze balsamiche per rinvigorire la vox populi leggermente affumichè? Non v’appaurate, c’è modo, maniera e codificazione certosina; e allora andiamo al regolamento! (e qui ci starebbe bene l’arboriano memento per andar indietro tutta).

Esso recita testuale accussì: Art 1: “Il Comune di Napoli promuove la Costituente dei beni comuni, al fine di tutelare e valorizzare i beni di appartenenza collettiva e sociale che sono garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini”. Come incipit è ben certo che sia valido e valente: in democrazia effettiva, non sincopata, i panni di clientes arraffoni, piranhas politicanti ed elites para-industriali, son da lavare in privati consessi, ed è palese che beni collettivi sono del “popolo”, e ben saldi, dovendo rimanere nel demanio pubblico; è cosa sacrosanta, oltrechè giusta. Eppure.
Eppure: anni sviliti di senso e democrazia, fallacia e malafede partitica, e partecipazione silente; occupazione indebita di sedi pubbliche da parte di margravi e prosseneti smargiassi, crapule finanziarie e speculatorie; soggettivismo illecito ed arruffone, massoneria legislativa come pret a porter per nani da giardino; tutto ciò non rende vano il richiamo al collettivo, a ciò che non è “mio”, perché “nostro”. Ed è meritorio, è bene (comune) che il Comune s’assieda alle assisi (mi si perdoni il calambour, il pastiche lo lascio Gadda); ma…cui prodest?

Chiarifico il pensiero: si menziona, viepiù sotto, nel medesimo codicillo (art. 4 del regolamento) l’ “Assemblea del Popolo” (che s’abballi in quel di Napoli, il comun-twist?) con “funzioni di rappresentanza della cittadinanza, con funzioni d’indirizzo generale della Costituente e di verifica della realizzazione delle iniziative di partecipazione”. Dunque organo di democratica partecipazione della città, diviso per macroaree, sedici in tutto; dalla generica consulta sulla “Promozione della pace e della cooperazione internazionale”, passando per “Ambiente, Rifiuti, Tutela della Salute” (tematica sì attuale su base territoriale e provinciale), “Politica della casa” (per consiglieri sfrattati dall’alveo materno ed accasati altrove??), “Politiche Giovanili”, “Sport” e concludendo con “Bilancio Partecipato” e “Beni Comuni”.

Bilancio Partecipato, ed in parallelo, la similitudine corre a ritmo di samba in quel Porto Alegre, capitale del Rio Grande, a sud del più Sud del mundo: samba-salsa al ritmo de carioca e de democrazia, dal verde-oro al giallo-rosso del labaro comunale neapolitano; è dal 1989 che la partecipazione diretta della cittadinanza è un pilastro della democrazia associativa della metropoli brasilera. Bilancio in rosso per entrambe le città, Napoli finanziariamente non è Alegre, ma neanche Porto lo era: casse in dissesto, progettualità asfittiche, rabbia e scetticismo per la latina; casse in dissesto, vulcanismo del Murat, energia cittadina ed un’onda civica in risacca, per la Partenope addormentata. Riflessi speculari, partecipazione allargata; il paso doble democratico pare possibile. Il cammino partecipativo di Porto Alegre ha portato la cittadina carioca ( che conta circa 1.4 milioni d’individui) a varare una serie di riforme ed elaborati su base cittadina fin dall’89. In Europa cadeva il muro, in Brasile si rischiava di rimanerci sotto: eppure.
Un percorso dinamico, quello del Bilancio Partecipativo, che negli anni più recenti ha raggiunto una ciclicità progressiva e ben sedimentata: in ognuno dei sedici distretti si tengono assise plenarie cittadine, con la presenza del Sindaco e degli amministratori competenti. Gli scopi sono riassumibili nella elastica e pragmatica adattabilità delle richieste dei singoli distretti alle soluzioni reali offerte dagli amministratori, all’implementazione dello scambio informativo, alla disamina dei progetti pregressi già realizzati.

Focus su Napoli adesso; parallelamente, alle consulte vesuviane sono iscrivibili singoli ed associazioni, collettivo civico spontaneo ed organizzato, al massimo per tre consulte in sincrono, il tutto attraverso rete del web. Cosa buona e giusta, del resto Internet è bene comune, Giggino docet.
L’assessore di turno prende parte alla consulta, il Sindaco è facultato, è attivata una segreteria speciale presso l’Assessorato ai Beni Comuni, e viene nominato un “facilitatore” per area tematica; orbene, alla fine della filiera, il prodotto è smerciabile? Andiamo al regolamento (e daglie, Arbore!).

Tavoli di Lavoro, art 6, co. 5 e ss.: “La Giunta ed il Consiglio dovranno tener conto della deliberazione della consulta in ogni atto riguardante l’argomento in questione. Qualora la Giunta non tenga conto delle indicazioni provenienti dalle consulte dovrà fornire adeguata motivazione, inserendola nel testo della deliberazione. Nel caso in cui la consulta non si sia ancora espressa su un argomento […] la Giunta non è obbligata ad attendere il pronunciamento della Consulta”.

Ergo, Sindaco e Giunta non sono vincolati, non v’è la tassatività delle delibere popolari, non c’è obbligo d’esecutività per gli organi amministrativi comunali.

Salto transatlantico, de nuevo: alle assemblee del Bilancio Partecipativo (e a quelle tematiche) partecipano tecnici del comune per le discussioni più ostiche e meno fruibili; terminati queste “preliminari”, si organizzano nuove e Seconde Assemblee, nelle quali saranno votate le priorità del Distretto, con l’elezione di 2 consiglieri che rappresentereanno lo stesso nel Consiglio Municipale di Bilancio (un Consiglio slim composto da 2 consiglieri eletti, più due consiglieri per ogni forum tematico). Funzioni previste per tale assise:recepire le richieste popolari emerse nei vari distretti, conciliarle con le risorse, proporre ed approvare il bilancio assieme ai membri dell’amministrazione.

Un lavorìo contiguo, bilaterale, uno stretto contatto tra rappresentatnti eletti e cittadini: il Consiglio Municipale del Bilancio esamina l’intero processo del Bilancio Partecipativo, decretandone il fallimento o la riuscita sul campo reale e politico-partecipativo. Negli ultimi Bilanci di Porto Alegre le assemblee organizzate dal basso si occupano financo delle spese per il personale della medesima amministrazione, stabilendo anche la suddivisione dellle singole risorse per ambiti ed esigenze distrettuali. Dulcis in fundo, il Bilancio Partecipativo è approvato senza alcuna modifica, in maniera de facto vincolante dal Consiglio Comunale, e gli amministratori (leggasi Sindaco in primis) sono tenuti al rispetto delle decisioni dirette della cittadinanza attiva.

Morale della favola per il Pifferaio Magico: ammaliare le masse è mediaticemente stimolante e proficuo, decretare il successo d’innovazioni politiche e democratiche è sovente più complesso e ben arduo. E’ progettualità sedimentata nel corso dei decenni, sperimentazione continua, compartecipazione e condivisione di mission comune. E non solo per il Comune.
La formazione di un corpo elettorale che non sia massa acritica e plaudente al tocco del piffero, ma che trasmuti come in alchemico athanor, in cittadinanza attiva ed informata, richiede una visione che sia profetica ed iper-reale come vaticinio di Sibilla (e in quel di Napoli ce ne intendiamo ancora). Può l’Amministrazione Cittadina operare la sintesi mirabile, la trasmutazione medievale, in sì poco ed esiguo tempo? Oppure si rischia di trovarsi il Taumaturgo a curar scrofole con l’imposizione di mani, quando invece s’abbisogna di cervello?
Per adesso abbiamo il Regolamento.

Sperando che Sibilla non diventi Cassandra.

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