martedì 26 gennaio 2010
Leggere : perchè no?
GULP! E’ exclamatio onomatopeica, beffa o celia, singulto che rampolla dal gozzo d’un beone, o forse armonia atellana di guitti in derisione, la gromma liquorosa di risate repentine a risgorgare? Idea stravagante, bizza, refuso a divenir parola? Di Pantagruel poderoso flato o di “Goofy” sincopato starnazzo? Giammai! GULP è acronimo campano per Gruppo Umoristi Ludici Postmoderni, milizia scelta, a testuggine compressa, legione scintillante al comando del supremo Imperatore. Di Pino Imperatore, ad esser precisi. “Manipoli di folli, sarebbe meglio precisare”, scherza l’Imperatore, padre putativo, o forse paterino, della masnada eretica d’umoristi indemoniata. “Che non si creda che il GULP sia un progetto vacuo, o ben che mai farlocco; al contrario abbiam tanto di statuto a certificare, di sigillo a significare e di comandamenti ad ammonire! Essere adepti del GULP è giusta e laica missione, di diffondere in nome del signore nostro, Achille Campanile, il buonumore entro la regione ed oltre; perché se una risata ci seppellirà, allora “vanga” subito!”. Sagacia parlatoria, maccheronea partenopea e qualche fusibile neuronale ormai saltato dan vita, come Frankenstein cartaceo, ad un’antologia allucinata e straniante di favole immorali per bambini cresciutelli, satanassi amorali d’eretica fattura: “Aggiungi un porco a favola” (Edizioni Cento Autori) è tutto questo e molto più. “Perché parodiare favole famose? E’ giusto dazio da pagare”, aggiunge Edgardo Bellini, scrittore e curatore assieme ad Imperatore del laboratorio di scrittura comico-creativa “Humour Lab”, “perché le favole hanno una eterna morale, e rovesciandone il senso, svellendone i cardini, si raggiunge l’empireo parodistico, quel rovesciamento paratattico che dà vita ad una “rapsodia inversa, a trascinare il senso nel ridicolo”, senza mai apparir beoti, ma beati”. Al taglio reciso delle Moire filatrici, cade del titolo una lettera ed il seme ne vien stravolto, l’ircocervo fabulistico fiero germoglia, stracciando la gramaglia in vesti arlecchinesche: e così ecco palesarsi all’onirica soglia ben più prosaiche e resistibili figure, quali “Cenerantola” dalla voce poco suadente, la “Bulla Addormentata nel bosco”, di virtù manesca, oppure una “Principessa sul pivello”, forse intenta al medesimo illustrar posizioni sintattiche a metà strada tra il kamasutra e la Montessori; e che dire poi dei “Tre porcelloni”? In tempi di politica assatanata non vorrei che fosse una boccaccesca ristampa dell’algebrico manual Cencelli! “Trentaquattro racconti per trentasei autori, un fuoco di fila da cui è difficile sfuggire”, chiosa Maurizio De Giovanni, scrittore e umorista, “un progetto nato alle pendici del Vesuvio, perché a Napoli la Dea della Comicità ha emesso il primo vagito, cullata dalle ninnole del Basile al fuoco antico delle ceneri di Pulcinella”. Un plotone di autori valenti, per una valanga di risate assicurate.
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