domenica 16 ottobre 2011

Giggino Murat ed il Regno di Napoli




“Citius!, Altius!, Fortius!”.
L’olimpica locutio ben s’attaglia al possente, onnipresente, “Sindaque du Role”, il Maire Partenopeo, l’arancione De Magistrìs. Sindaco per voluntas populi dal giugno 2011, e già presente nella “Top Five” (classifica redatta dalla Scavolini, la più amata degli Italiani) degli Amministratori “très charmant”, i più amati d’Italie, il Nostro Arancione, con lungimiranza e “bonapartenopeismo” di stampo zapatista, è fermamente in groppa al vento del cambiamento. Dunque, se son rose, o purtualli, fioriranno.

Tempo al tempo, mes amis; scindiamo i piani prospettici, vestiamo la sciassa del diavolo leguleio (veste Prada pure quello?), ed intoniamo fiero il canto: “Giggino Murat” è il nostro aedo?
Vessillo cremisi della révolution parthénopéen, fulmine e nemesi della “Historie d’ ‘O PD” (a Napoli ancor si favoleggia di “Primarie d’Egitto”, in cui i faraoni della Sinistrata s’affossarono come Mammalucchi nel pantano sabbioso d’un bassolinismo senza più rilievo), irruppe fiero sul destriero populista; “Avimme Scassate!”, come mantra a piena gola, piazze piene e “Banderas”(nota la rassomiglianza con lo Zorro d’Andalusia) in Comune a svolazzare.
Narciso e fiero, audace e guascone come il Re Gioacchino che fu, Giggino oscilla, in perdurante disequilibrio, tra l’empireo regale del dioscuro sceso in terra a fugare i mali e le miserie (politiche) del mondo, e la tempestosa bolgia dell’umano sentire, l’aspirazione ed il vezzo d’esser “il Migliore”, con un Ordine Nuovo e Partecipativo da rifondare ex novo.

Nova Era, vezzi antichi: il tipo è piacione, e assaje piace. Sindaco “ad personam”, nell’acclarare il senso d’un leaderismo mediatico profuso a piene mani, nel parossistico inseguimento del favor populi, e di quel di telecamera; e in tempi grami e di gramaglie luttuose, di un’afonia sinistrorsa pressochè totale, in cui capi e capesante cincischiano ammiccanti, s’ammischiano avvilenti, arrovellandosi nel catto-centrismo inCasinato (“Io leader naturale, loro soltanto capi di partito”, De Magistris docet), è tutto caseo che cola in attesa di cagliare, raggrumandosi attorno al fuso d’un movimentismo politico da strutturare su scala nazionale (“Italia è Tua”??).
E Giggino Murat, come il suo antesignano, non dirà giammai di marciare contro il “nemico”, quel morente partitismo comatoso che ha colonizzato la Democrazia Italica, viepiù sarà concorde il suo “Seguitemi!”, alla riscossa d’un tessuto civico che vuole il cambiamento, se non la palingenesi partitocratica.

Gioacchino Re tribolante rintuzzava e contrastava l’augusto Cognato, scimmiottandone il verso, ma in segreto ammirandone il cipiglio e l’aura mediatica (da “medium”, messagio sfolgorante che si faceva carne, con lustrini e galloni in petto); e così Giggino, pur stigmatizzando ed avversando il priapismo inverecondo e la maneggioneria privatistica ed anti-costituzionale dell’epigono brianzolo, in sordina (e non soltanto) ammira il parabolismo comunicativo ed omnicomprensivo di Sua Metà, Nanoleone da Harcore, il McLuhan piazzista e padrone del vapore che impone con mano il suo tocco da Mida; una ubiquità mediatica profusiva, invasiva, diuturna: fosse per curar scrofole, toccar giovanili deretani o per pagar dazio e mazzette per il suo governo delirante, il “bauscia” da operetta (e da Mafietta) è sempre in video.
E De Magistris ne insegue l’ombra, dal punto di vista populistico-comunicativo, seppur tarando il tutto a sinistra ( quella progressista, riformista, solidale, equa e per i beni comuni; ma che non disdegna la privatizzazione capitalista che fa tanto “liberal”, da mano invisibile e regolatrice).

Un uso eccessivo del pronome “Noi” a fare da pendant con il deprecato “io” berlusconiano, che il buon Gadda definiva come “il più lurido dei pronomi”, un manifesto politico d’unione in fieri, una voluptas di nazionale senza filtro (partitico): Giggino Murat parte da Napoli, da Sindaco in pectore (e da soli sei mesi di iperattività presenzialista) per la nuova Campagna d’Italia, di rottura politica con il sistema claudicante del nostro Nanoleone da museo delle cere.
Souvenirs d’Italie, per un paesucolo preda di satiriasi e velinismo, e faciloneria e clientelismo sfrenato: è questa la Palude malmostosa in cui nuotano il Caimano ed i suoi fidati politicanti alle(v)ati alle sue mammelle.
Mentre a Sinistra balbettano in coro, indicando il dito. Che per pudicizia lasciamolo dov’è, ad indicare la Ruby (o la Letizia, la Minetti, la D’Addario di turno).

Ed ecco sfolgorante il De Magistris Equitum Imperii, l’icona dell’homo novus che rimira il sole e non teme d’esserne abbagliato; la solutio è nel movimentismo partecipativo e democratico, quella sintesi speculare di movimenti “Uniti” (contro la crisi, contro il Governo, contro la finanza mondiale) nel nuovo mantra civile che gl’istessi partiti in coma etilico si ripetono l’un l’altro: l’antipolitica è il male assoluto, da combattere crocifisso ecclesiale e “vaticanesco” in resta; il movimentismo no, è cosa buona e giusta se rimarcato nell’alveo del Partito costituito e benedetto (XVI o più volte di fila).

Intanto si studia da Re di Napoli in attesa del salto nella capitale dell’Impero: e quindi si traccheggia a metà campo del San Paolo, fulminati sulla via di Lavezzi, oppure trasvolando l’Atlantico con l’asso della Viutton’s in valigia e sulla Manica; si stringono a “cum passio” teche disciolte come pellegrini al bacio, (ed il Santo non s’ingrugna, al massimo vermiglia) aggiungendo Sepe alla minestra; ci si commuove a Samarcanda, chiamando Vecchioni, cacciando i vecchi pidini a pedate, al grido di “Al Forum! Al Forum!” ( il baffo a sparviero d’Oddati s’è incrinato per mestizia); si inaugurano zone limitate nel traffico ma non nelle proteste (la ZTL non piace ai negozianti del Centro, e non piace soprattutto per la mancanza di una concertazione sinergica alla base); si disegna di Bagnoli il Futura, ma non se ne bonifica il passato (orme già percorse, adesso ormeggi da creare).

Insomma, un repulisti delle sabbie comunali in piena draga, da cabina di regia posta e salda nelle mani del “Sindaco Murat” (il 65 % dei voti fu tutto per lui); e qui non s’ entra nel merito specifico, ma nella questione alla sua base: può il decisionismo volitivo e maschio da Politico Alfa, essere il propano univoco e solo dell’espansione democratica in città?
Può l’uomo solo al comando innovare il modus agendi, e l’agenda politica in essere, senza allargare la partecipazione su tematiche sì stringenti alla Società Civile tutta, ai cittadini attivi e ben informati?

Il solco democratico è ben sottile limen, come rasoio per demiurghi di primo pelo: e se non è “ la barba che fa il filosofo”, così il polso non può dare solingo, la temperatura della democrazia. Si può esser leader da molto, troppo o un tanto al chilo; o da poco, poco tempo, o forse uomini d’unica fattura, nonchè pezzo: ma il cavalcare a briglia sciolta, raminghi, rischia di trasformare la vittoria in quel di Pirro, ed uno sfavillante destino nel luccichio d’una bordata, nove colpi al cuore in quel di Pizzo.

Ai posteri l’A(r)dua sentenza.

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