mercoledì 25 novembre 2009
Leggere: perchè no?
Quale scempio più nefasto del toglier la vita con mano proba, da boia pubblicamente istituzionalizzato? Il grido d’un condannato è fiele mefitico e straziante nel tessuto dello Stato, quello Stato che si cinse la chioma dell’alloro dei retti, e che poi con mano ad artiglio stringe la ferula del più bieco dei comandamenti, quello di dar morte “in nomine societatis”. “Niente boia dove abbasta il carceriere”, per dirla con Victor Hugo; e prima di lui il Beccaria secondo cui “leggi che son fatte per uomini non devon punire come fosser di Dio”. Mariano Josè de Larra ne era ben conscio, e da buon polemista, giornalista di puntuta favella, argomentava sicuro in quel di Spagna, qualche secolo orsono. Anima romantica di fiero cipiglio, nacque nella “Cattolicissima” agli albori dell’ottocento, svezzato da idee liberali di matrice illuminista, tenuto a balia in culla parigina e avviluppato nel tricolore napoleonico, il code civil a far da ninnolo e riparo: inquieto spirito di tempi convulsi, la sua verve anticonformista e vitale traspar sovente nei suoi articoli graffianti. E per aver conto dei demoni che gli agitavan la penna basta rileggere due brevi scritti ripubblicati or ora per Colonnese editore:”Un condannato a morte” e “I Taglieggiatori”, in cui s’amalgama perfetta tutta la pietas non verso il reo sgomento, ai ceppi ferrosi assiso, ma verso l’istesso corpus statale, abbietto perché vile nella sua pubblica vendetta. Perché non giustizia si anela, tagliando teste per leggi e codicilli, bensì ferale e al contempo banale vendetta: vermiglio umore che acceca la ratio, il sangue del condannato non monda lo Stato, di Erinni non placa il gozzo e la sete, divenendo inutile scempio, di un turpe spettacolo spuma e champagne. Il Grand Guignol dello Stato non cala il sipario, piuttosto mannaia:”Cosa aspetta la folla?” par dirci de Larra, “di cosa è curiosa codesta Nazione?”. Domanda irrisolta, rovello che si propone, ancora ed ancora, senza mai dipanarsi: Caino tutti lo toccano, lo strattonano, e nessuno perdona, né slega i legacci. Ma una Nazione non prova compassione, non prova desìo o titubanza, né oblio: il “file rouge” è rosso sanguigno, e con esso il boia rattoppa il capestro, la mano è ferma, né trema il nerbo. “Evviva!”, esulta la folla, “Evviva!” che della morte si dia spettacolo, e che il matador trionfi ancora, una volta di più. Questo era allora, nell’Europa che fu, eppur mai tema risulta vieppiù attuale e controverso: moratorie, dilazioni, sospensioni, ed infine esecuzioni. Che sia una garrota, un lama od un capestro, che si fermi il cuore con asettica puntura, o si geli il sudore della fronte con stille infuocate alla nuca del reo, mai pena fu più ingiusta che veder un uomo morir per mano di Giustizia. Oggi come allora.
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