lunedì 28 settembre 2009
Leggere: perchè no?
Italia, da furia percossa. Scossa, fremito, gorgo lavico che sobbolle nell’intima essenza d’una chimica disomogenea, ne smuove le viscere limacciose, le brecce smerigliate; magma acidulo di natura ribelle, corrode la sporta d’un Paese in perpetuo affanno “libridinoso”. Letteratura periferica, al nerofumo metropolitano, che s’accende di bagliori crepuscolari, a scavezzar decisi, recidendo il capo d’ un conformismo semantico, triturato e digerito nell’”atanor” mediatico, alchemica trasmutazione di umori emulsivi che divengono linguaggio omogeneizzato. “Limen” contorto, inveterata sinecura per anime alla deriva, i fremiti underground si rimescolano all’ombra di casermoni sfatti, si stemperano nel tenue grigiore di albe macilente, seguono il passo cantilenante di un tossico in astinenza, oltre la linea che dalla periferia evapora in tramonti scalcinati, schiaffeggiando l’infinito. “Italia Underground”, col languido scorrere del tempo catramoso che ti si appiccica addosso, la pelle rorida, lucente; una rabbia repressa, un marchio fumante che incide la carne, la superficie segnata per ritrovare la strada; l’”horror vacui” di spazi bianchi aldilà del confine, anima e corpo che si tendono vibranti, annusano l’aria, misurandone il verso, la consistenza. “Italia Underground”(Sandro Teti editore), antologia di firme, dagli occhi febbrili, a misurar la forza dei passi: percorsi disegnati dalle ombre amorfe di periferie lunari, dove il centro è assente, metafisica pura, monade sospesa. Biondillo, Evangelisti, Celestini, Mastrandrea, Brun: punte di freccia conficcate nel ventre budelloso di metropoli invisibili, voci al limite, come guardiani di un faro disperso nel maelstrom contemporaneo, occhi puntati a fugare le nubi, a frugare nel buio, sempre. Generi che si contaminano, un arabesco sfilacciato che ricompone i contorni d’un Paese scheggiato, eppur vitale, dove la scrittura è l’imbuto che filtra le ansie e le storture del mondo, dove l’urlo periferico segue percorsi sotterranei che s’intrecciano, ritrovando una sorta di baricentro possibile. Riccardo Brun, ad esempio. Napoletano, classe ’74, giornalista, sceneggiatore, scrittore; contamina il senso, mischiando le carte: “Quei battiti così forti del cuore”, la sua traccia sulla pagina, la puntina d’inchiostro che ne leviga la superficie tracciandone il confine. Il racconto d’un microcosmo, rabbia impastata col cemento, in cui affoga l’esistenza di Salvatore, anonimo e alieno all’indifferenza costante, circostante; frenesia che cresce come i battiti del cuore, annegato nell’ebbrezza chimica di una polvere bianca. Uno come tanti, a noi simile , eppur così al limite: e la città è lì, così vicina che la senti respirare.
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