Quando l’ego della bussola è partito. Quando l’altro s’impossessa del tuo io. Quando l’assassino scarta “l’ovetto killer”, regalando una sorpresa dietro l’altra. Quando pensi che c’è un altro “pazzo” in libertà creativa, con licenza d’autore. Davanti all’ineluttabile smorfia a deformarsi in riso, non resta che aprire a caso una pagina dell’ultima creatura di Gianni Puca, “Io sono un altro” (Ad Est dell’Equatore) ed abbandonarsi alle nequizie più comico-grottesche che abbiate mai letto. Comico-noir, s’è detto; sfumature cremisi d’un giallo a bolero che monta ineluttabile verso l’agnizione finale: chi il colpevole, chi l’assassino? Una trama che incolla il lettore, un killer che incolla le sue vittime al suolo, una vischiosità vermiglia che s’appiccica come carta moschicida alla divisa togata d’un avvocato-commissario, pendolo ad oscillare tra l’io passato e quello presente, avendo ben presente di dover acciuffarlo, il colpevole, a costo d’incollarglisi addosso come tafano al deretano. Kerill è il commissario, ed il vicebrigadiere Palumbo il suo scudiero: indagatore d’incubi tufacei per una metropoli dall’aura illividita, incarnazione partenopea d’un Ingravallo impasticciato (o forse impasticcato?), il Nostro si trova a duellare col Mostro, a colpi di rovescio della medaglia, messaggi in codice e codice cavalleresco. Scacco fatto, il Re è matto! Una scrittura che scorre a valanga per ramblas inchiostrate, al canto tropicale di Canarie assolate, Fuerteventura a sfumar sullo sfondo: il segreto è uncinato, il Male s’annida nel passato, due baffetti in camicia bruna a marciar sulla sabbia del tempo. E Kerill che c’entra? La clessidra è rotta, i granelli rotolano via, il puzzle si ricompone: “Funiculì Funiculà”, e pare di sentire l’eco barbuta di Lello Arena, killer-vetero-piedigrottista in “No grazie, il caffè mi rende nervoso?”, i suoi messaggi strampalati, gli assassinii al limite del ridicolo, la risata sardonica e “jamme ‘ncopp ja’”. Una comicità in scia quella del Puca, che si nutre di contaminazioni nobili e popolari, di Troisi e Scarpetta, Woody Allen ed il suo “Zelig”, Totò e Peppino: mistura complessa nella sua corposa semplicità, che non tradisce il senso d’una recherche stilistica personale; un romanzo originale, un caravanserraglio di figure che l’Autore giostra da consumato capocomico, il cilindro ben calcato, il frustino ben in resta. Ricordate Stuart Kaminsky, giallista di Chicago, gran fustigatore dei costumi stelle e strisce targati anni Quaranta? Il suo detective Toby Peters, beone casinista e fallimentare, diede vita ad un genere lungo e fortunato: e Puca ed il suo commissario Kerill paiono degni epigoni di quel filone americano.
Questa volta in salsa napoletana.
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