sabato 3 gennaio 2009

Racconto del Mese Neapolitano:

Incontro notturno

Il buio era soffocante.
Le luci della strada erano ipnotiche, gli occhi assuefatti e stanchi quasi vi si lasciavano cadere, nella girandola luminosa. Le scie delle auto si univano come in un lungo serpente senza capo né coda. Era tutto un flusso ininterrotto, non c’era nemmeno il tempo di notare le facce della gente, che già si allontanavano nella notte afosa e senza luna. Nella nebbia artificiale da gas di scarico, c’era una donna. La donna aveva con se un bastone con il quale assaggiava l’asfalto prima di avanzare. Come un bambino che cammina carponi, la figura avanzava incerta. Portava, che strano, anche degli occhiali scuri, da sole, anche se il sole aveva girato la sua faccia, e adesso era lontano lassù, da qualche parte.
Era cieca. Cieca come un pipistrello. Una donna che portava in giro il suo corpo senza vedere nulla, senza scorgere le luci, solo udendo suoni, clacson, voci e grida sconosciute. Di quelli normali, di quelli che potevano vedere ma che invece erano spesso più ciechi di lei. Alzò il bastone sottile in aria, bianco come il braccio di uno scheletro per attirare l’attenzione di qualche tassista semiaddormentato. Restò così, immobile, per una decina di secondi, quasi stesse misurando il verso e l’intensità del vento.
“Taxi”.
La sua voce era calma, calda come l’aria che avvolgeva il suo corpo. Tagliò l’aria, facendosi largo tra i gas che fluttuavano distratti, si arrampicò sul parabrezza di una vecchia Buick parcheggiata in sosta vietata, ed arrivò alle orecchie del tassista. Il motore sputò e tossì, con le ruote che già si muovevano verso la donna. Lei avvertì lo spostamento d’aria provocato dalla macchina ed arretrò sul bordo della strada. Si avvicinò allo sportello dell’auto che era lì per lei. L’auto era gialla, ma questo lei non lo sapeva e nemmeno avrebbe potuto sapere cos’era il colore. La sua vita aveva solo un colore, il nero pece.
“ Dove vuole andare?”.
Il tassista, Jhonny, era un nero sulla trentina. La donna era bianca e cieca. Il cielo era sereno e senza nuvole, la notte bollente, e la città era New York.
“Allora signorina, dove vuole andare?”.
“Dovunque, mi porti a fare un giro”.
Lo aveva detto guardando nello specchietto in cui si riflettevano gli occhi di Jhonny. L’uomo la guardò di sfuggita, poi fermò il suo sguardo negli occhi di lei: le pupille erano adesso libere dallo schermo degli occhiali, e si mostravano nude in tutto il loro biancore luccicante. Bianche. Erano completamente vuote, le pupille erano state risucchiate via, come cancellate dalla mano di Dio. Fu una strana sensazione, come guardare l’orizzonte seduti sulla riva del mare. Si ha quella strana impressione di profondità irreale, così era anche per quella circostanza.
“Tassista, perché mi stai guardando?” Il tono era poco amichevole, secco.
Jhonny rimase stupito, come un bimbo quando scopre che Babbo Natale non esiste, se ne stava fermo con le mani sul volante a chiedersi come accidenti aveva fatto, la cieca, a capire che la stava fissando.
“Ma lei è…cieca?”.
“Uau, amico devi essere un genio…scusi. Si sono cieca, da quando sono nata. Forse quando io ho visto la luce, la luce non ha voluto vedere me e mi ha abbandonato per sempre, mi ha accecato perché aveva paura di pietrificarmi”. Rise, di una risata che aveva il sapore amaro ed arrendevole di un pianto muto.
“Dove…dove vuole andare? Cioè, io vado, ma se lei non mi dice dove…” – ripeté l’uomo alla guida – “Dove la devo portare?”.
“ Ovunque” – fu la risposta della donna.
Era abbastanza. L’auto ingranò e partì lungo le strade periferiche di New York city.

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