venerdì 12 dicembre 2008

Leggere: perchè no?

Cos’è la cazzimma? Ve lo siete mai chiesto? Quale la natura di un’essenza, tutta partenopea, che com’erba gatta frizzantina, come edera tignosa ed urticante, al suo solo sfiorar la cute del gaglioffo di turno, ne rende rubizzo il colore, pruriginoso il tocco? Prova a tratteggiarne i contorni, definendone le sfumature, la penna verace di Pino Imperatore, giornalista e scrittore, nel suo De vulgari cazzimma, per le Edizioni Cento Autori: il volumetto è un agile trattatello “semicomico” sulla genesi e sull’epistemologia di quel sentimento miscellaneo e composito, mosto fruttato ad alta concentrazione zuccherina di malizia, perfidia, cinismo ed astuzia, comunemente noto ai figli di Pulcinella (per non dir peggio) con il popolare epiteto di cazzimma, appunto. La cazzimma assurge ad invereconda filosofia di vita, diviene un moto versatile dell’animo, l’essenza stessa d’un popolo sovente tarantolato, giusto epigono del guitto d’Acerra, diavolo benigno dalla nasca priapesca. Pare quasi che all’ombra del “Vesevo” i bimbi nascano già svezzati, e con un piccolo “curniciello” del diavolo da suggere a mo’ di ciuccio! La natura ambigua, a volte venefica, di questo farmakos “neapolitano” frutto di secolari alchimie, viene passata al setaccio dall’occhio “drammaticamente comico” dell’autore, che col “cuppulone” puntuto ben calcato sul capo, mescola attento la ribollente mistura, aggiungendo al sapido intruglio, un pizzico di amara ironia e salace disincanto. Ottima pietanza per il desco inghirlandato d’un Natale in allegria. E dopo un cenone barocco foriero di ventri satolli e sguardi sonnacchiosi, quale miglior diversivo (e digestivo) che lo sgran(occhi)are un rosario di racconti scoppiettanti e “pazzerelli” come caldarroste danzanti al calor delle braci? Basta leggere le Storie Brillanti di Eroi Scadenti, sempre per le Edizioni Cento Autori: “helzapoppin” delirante e grottesco, decisamente spiazzante, per la regia estrosa e un po’ folle di un genietto dal talento tutto partenopeo (ma si sa come genio e follia spesso si tocchino) che risponde al nome di Francesco di Domenico.Un serraglio di bestie dannatamente umane, e di uomini tremendamente bestiali, in cui il non-sense, il calembour, la fa da padrone, come un Re Giorgio malato immaginario a cui lo scettro sia sfuggito di mano, sovrano più tocco del suo stesso giullare, perso in una giungla urbana di beoti che s’azzuffano per una “quisquilia”o per una “pinzillacchera”. Perché se “ogni limite ha una pazienza” quando “signori si nasce”, si dovrà pur morir dal ridere, no? Perché se una risata ci seppellirà, allora vanga subito.

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