domenica 21 dicembre 2008

Articolo di Natale:

Dicembre. Eccoci come ogni anno alla conclusione del ciclo, al capolinea festoso che rigenera i pochi ed atterrisce i più. Lo stress delle feste è notevole, e non solo per le nostre povere membra, intorpidite da libagioni luculliane ed estenuanti maratone di tombole, scoponi e mercanti più o meno in fiera, con tutto il serraglio di parenti ed affini che affollano il desco inghirlandato e barocco dei giorni fasti o meno, dell’anno che muore.
Ma il senso della festa, direte voi? Il significato profondo, i valori che ogni buon cristiano ha, o dovrebbe avere nel cuore? Dettagli in fondo. Il senso reale della festa natalizia non è da ricercarsi nell’iconografia cattolica classica: il Bambinello, San Giuseppe e la Madonna sono dei simboli perfetti nella loro semplicità per veicolare valori e tradizioni che affondano le loro radici nei secoli dei secoli, in mitologie e rituali decisamente pagani e non dogmatici. Il mito della Natività, della sacra Epifania di Nostro Signore è un parto naturale e consequenziale dell’immaginario religioso afferente ad ogni uomo, e presente in ogni cultura. Furono i Romani ad importare in Occidente il culto del dio Mytra, divinità dell’Astro Lucente, di origine indo-persiana, intorno al I sec. a. C.: culto che poi confluì in particolari festività dette Saturnalia, e che si svolgevano dal 17 al 23 dicembre di ogni anno in onore di Saturno, divinità primordiale, assimilabile al greco Cronos, signore del tempo e delle stagioni che mutano. Durante tali celebrazioni si offrivano doni e si consumavano i frutti della terra, in un tripudio di canti, balli e sfrenatezze quasi orgiastiche, in cui i ruoli sociali risultavano stravolti, nei quali anche uno schiavo poteva, seppur per poco, sentirsi un re. In quei particolari giorni, il Sole giungeva alla sua minima estensione, per poi ritrovare il suo vigore, la sua forza luminosa e vitale, completando quel ciclo di rinascita delle messi che sarebbe culminato poi nel solstizio d’estate del 21 giugno, giorno in cui le tenebre erano fugate ed il Sole splendeva più in alto e più a lungo. Il Bambino che nasce, il Redentore che tutti attendono con ardore e letizia, è chiaramente un nuovo Sole che nasce, è un messaggio diretto agli uomini, di aver fede, di continuare a sperare, perché il ciclo continua, non si arresta, anzi. E tutto questo simbolismo lo ritroviamo nel corpicino di Gesù, Stella fatta uomo, cui tutto ruota attorno, il fulcro della Vita fattosi sangue, fattosi carne; uomo tra gli uomini, non fantoccio svuotato di senso, sceso tra noi per mostrarci tutto lo stupore e la meraviglia davanti al miracolo della Nascita che si rinnova, anno dopo anno. Impervi sentieri conducono dalle montagne alla Grotta, simbolo umile e materno, luogo della nascita prodigiosa; un cammino discendente, dall'alto verso il basso, un viaggio verso le viscere della terra, ove, vincendo le angosce della discesa nel buio, come un novello Orfeo, l’uomo partecipa alla nascita del Sole, della rinascita della natura sull'inverno dell’animo. La Grotta, quel piccolo “ombelico del mondo” cui si tende e dal quale si muovono i primi passi, o si levano i primi vagiti verso un cielo indifferente alle umane lamentazioni: eppur si prova, la vita procede a tentativi e mai per linee dritte, ancora e ancora.
Nel napoletano la Grotta rimanda ad echi classici di oscure Sibille dai vaticini sinistri, megere di fumo e sibili serpenteschi, padrone del destino e depositarie di antichi saperi. Non a caso la Campania è anche terra di streghe, soprattutto nel suo entroterra frondoso, speciamente in quel di Benevento che tanta fortuna addusse ai Romani nella vittoria contro Pirro, re d’Epiro. Ma la simbologia infera e terrena la si riscontra anche in altri elementi che di norma compongono quel “piccolo mondo antico” che è il Presepe, “ ‘o Presebbio” di eduardiana memoria: si pensi al Pozzo, uno degli elementi maggiormente ricorrenti nella tradizione, e che simboleggia il collegamento tra la superficie e le acque sotterranee, i flussi che scorrono in profondità, fiumi acherontei ed infernali, limite invalicabile per i vivi e per i morti. Ad esso si associa il culto Mariano, per cui in Campania diverse chiese si intitolano alla «Madonna del pozzo» (per esempio a Somma Vesuviana, Castellammare ecc.). Alla figura del pozzo si richiamano, inoltre, molte altre credenze e leggende natalizie. Una volta ci si guardava bene dall'attingere acqua dal pozzo nella notte di Natale.
Si credeva, infatti, che quell' acqua contenesse spiriti diabolici scappati dalle fenditure della terra per dar la caccia alla Sacra Coppia ed al Divin Gesù. Nell’opera seicentesca “Il Vero Lume tra le Ombre”, del Perrucci, dal popolo conosciuta come “La Cantata dei Pastori”, il capo dei diavoli, Belfagor, così arringa i suoi “Masnadieri dell’Inferno”:
“Compagni a noi, non basta uno spirto solo
Contro tutto l’Empireo; il Ciel tramanda
Tutte le forze in Terra a custodire
La coppia quant’a noi fiera, e sospetta,
Tanto gradita a Dio, tanto diletta.
Trasformati così, noi tenteremo,
Che quel vecchio cadente, e quella donna
Spaventati, e atterriti
Siano tra queste selve
Divorati da l’acque, o da le belve.
Qui bisogna impiegare
Ogni forza e valore,
Che troppo perigliosa è la tenzone”

Altro elemento ricorrente nella rappresentazione presepiale, è il Ponte, noto simbolo di passaggio collegato alla magia. Transito e limite che collega il mondo dei vivi a quello dei defunti, è il luogo di spaventosi incontri notturni, che si verificano in specie nel periodo natalizio: vi appaiono il lupo mannaro, la monaca con la testa mozza dell'amante decapitato, i suicidi, i morti giustiziati, gli impiccati, ecc. A Napoli, nel giorno dell'Epifania, il presepe si arricchiva di una singolare scena: laddove si trovava un ponte, ivi si collocavano dodici figurine di frati scalzi e incappucciati, che mostravano il pollice della mano sinistra fiammeggiante: essi rappresentavano i mesi morti o i dodici giorni del periodo natalizio, che, al seguito dei Magi, ritornavano nell'Aldilà. Ma gli esempi potrebbero continuare, si pensi al Mulino, con la chiara allusione al tempo che scorre, immaginato come una ruota che riprende a girare.
Del mulino, poi, è significante, nel senso infero, la macina che schiaccia il grano per produrre la farina, che, come è noto, è antica simbologia della morte (difatti di colore bianco sono gli abiti da sposa, i confetti, i dolci natalizi, il camicione di PulcinelIa ecc.). Ma la farina può assumere anche valenza positiva, per il fatto che diventa pane, alimento indispensabile al nutrimento di tutti (si ricordi che Cristo è detto “Pane della vita”). Anche l’Osteria, ha la sua brava ridda di significati, essa nel passato era luogo di soste e pernottamenti non scevri dal pericolo: nel repertorio narrativo ricorrono figure di albergatori malvagi che avvelenano o uccidono nel sonno gli sventurati viaggiatori. In una leggenda napoletana si narra di un oste che nei giorni precedenti il Natale ammazzò tre bambini (ricorre sempre la simbologia del Sacro), li tagliò a pezzi e li mise in una botte, con l'intento di servirne i brani agli avventori, spacciandoli per carne di vitello . Ma sopraggiunse san Nicola (altra figura emblematica del periodo natalizio) che si rifiutò di mangiare, benedisse quei miseri resti , e resuscitò i tre poveretti. Sull'argomento, le donne napoletane cantavano una nenia per addormentare i bambini, denominata «'o lagno 'e Natale» (la lamentazione di Natale):
“Santu Nicola alla taverna jeva
Era vigilia e nun se cammarava”.

Inoltre, l'Osteria del presepe allude al viaggio di Giuseppe e di Maria in cerca di un alloggio, episodio che nella su menzionata “Cantata”, vede il diavolo Belfagor che, travestito da tavernaro, tenta di adescare la sacra coppia per sopprimere la Madre vergine durante il sonno.
Nella commistione di simboli e riti, di paganesimo e cristianesimo, non solo i luoghi, ma anche le figure del presepe, incarnano tutto un abbecedario esoterico di notevole portanza: basterebbe nominare i soli Re Magi, per aprire una disputa sui vari significati cabalistici e magici che tali personaggi assommano in sé. In alcune leggende campane, il cromatismo dei tre sacerdoti simboleggia l'iter quotidiano del Sole: bianco per l'aurora, rosso o baio per il mezzogiorno, e nero per la sera e la notte; essi rappresentano quindi, il viaggio notturno dell'astro, che termina lí dove si congiunge con la nascita del nuovo Sole-Bambino.
Altra figura dalle mille letture è la Zingara, personaggio profetico collegato all’immaginario delle Sibille: e proprio alla Sibilla Cumana, la tradizione orale contadina attribuiva una leggenda sulla nascita del Messia; ella ne predisse la venuta, annunciando al mondo di esser lei la Sacra Madre, la Vergine designata che lo avrebbe partorito.
Quando Maria partorì, si rese conto del suo peccato vanaglorioso e la maledizione la colpì, tramutandola in civetta, l’uccello sentinella delle anime dei trapassati. Inoltre, la “Zingara col Bambino in Braccio”, può correlarsi alla fuga in Egitto di Maria, zingara lei stessa in terra straniera, nonché ad una ulteriore leggenda simil-cristiana. Si narra di una donna vergine, chiamata Stefania, che, quando nacque Gesù si incamminò verso la Grotta per adorarlo, ma ne fu impedita dagli angeli che vietavano alle donne non sposate di visitare la Madonna.
Allora Stefania prese una pietra, l'avvolse nelle fasce fingendosi già madre e, ingannando gli angeli, riuscì a entrare nella grotta il giorno successivo: quando fu alla presenza della Vergine si compì
un miracoloso prodigio: la pietra starnutí e divenne un bambino, Santo Stefano, il cui natalizio si festeggia appunto il 26 dicembre. Ma la Zingara può avere anche una simbologia nefasta: se non porta seco un bambino, spesso la si raffigura con dei chiodi tra le mani, palese riferimento alla Passione ed alla Crocifissione di Cristo, martirizzato sul Golgota.
Il Cacciatore ed il Pescatore, figure vieppiù popolari, esprimono due tipi di cultura successivi alla società matriarcale: la pesca e la caccia, le piú antiche attività con cui l'uomo si assicurò i mezzi di sussistenza. Interessante per la valenza che esprime è il costume del pescatore. Esso, connotato dal colore bianco e rosso, mostra attinenza con le piú antiche liturgie del mondo popolare, non soltanto campano, e risulta collegabile allo stesso costume tipico dei “fujenti” della Madonna dell'Arco.
Le due figure in coppia rinviano ad arcaiche rappresentazioni del ciclo morte-vita, giorno-notte, estate-inverno. La pregnanza simbolica dei due personaggi è sottolineata dalla loro posizione nello scacchiere presepiale, e che può dirsi canonica: il Cacciatore si colloca in alto, mentre il Pescatore è situato in basso, presso le acque fluviali. Tale contrapposizione evidenzia chiaramente la dualità sacrale di una coppia attinente al mondo celeste e a quello infero. Né si dimentichi che in tutte le antiche tombe egizie, etrusche e italiche sono ricorrenti le raffigurazioni funerarie della caccia e della pesca.

I simboli sono da sempre uno dei modi che gli uomini hanno trovato per compattarsi tra loro, per cementare la loro appartenenza ad un’ origine culturale o naturale comune. Il totem, la divinità, il sacro fondatore, sono strumenti culturali intercambiabili tra loro: il loro potere, la loro centralità, non è ovviamente intrinseca, ma viene riconosciuta dagli uomini, che ne hanno un intimo bisogno, se ne nutrono, perché c’è bisogno anche di un tipo di cibo spirituale, e non è necessario che sia riconosciuto o si riconosca in un dogma religioso più o meno ufficiale.

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