lunedì 26 dicembre 2011

Metti una sera a teatro...




















Napoli- Baal, demone di libido, lussurioso spirto dei primordi, regressio animalesca e ferale, d'istinto impulsivo ed ontologico; vera natura d'uomo, ca va sans dire. Brecht, inseguendo il Superuomo nietzschiano, opera in subcoscio, banchetta d'Idealismo, sbranadone lacerti, rimestandone bolo per rifiiutarne il distacco passionale, le energie razionali miranti ad indebolir l'uomo, sottraendogli le “energie natural-vitali”. Baal, come profeta Zarathustra; assimila, il poeta, i disvalori d'occidente, le negazioni dell'inconscio, la superna fede nella “terra”, negli istinti; morte a Dio, e “non vi fate sedurre, non esiste ritorno” ; coscienza e morale reprimono il vello ormonale e chimico, enfiando l'istinto teratologico del beluino, che alberga nell'umano; Baal come Lilith, distruttrice e fiera dea della morte (in tal guisa dell' ”Io”), come “Lulu” di Wedekind, speculare superominide che libera sé stesso nel gorgo di “dis-valori” moderni, eppure. Eppure “siamo stanchi dell'uomo”, perchè incapace di civitas appagante, di socialità aggregante, pur orbo di naturale effluvio; uomo castrato da sé stesso, alla ricerca d'una radice oscura, forse negata: opera giovanile, “Baal” è scritto radicale, sulle vicende di poeta beone, umorale, sinistramente dongiovannesco, sottile episteme d'astrazione marxista, chè nell'uomo va ricercato l'uomo. Weltanschauung istintuale che freudianamente son “principi biologici universali”; i quali, compressi, han generato l'inconscio, limaccioso sottobosco di desideri, impulsi auto-castrati, principio edonistico, di piacere, a cozzar contro realtà. La Compagnia della Sala Ichòs di San Giovanni a Teduccio traccia il solco o-scenico d'un subconscio come limen, tra l'istintualità verace, speculare raffronto alla solida consistenza dei vincoli sociali; il Baal di Brecht li dissolve, li soffoca, rutilante satiro, s'attira gli strali dell'auctoritas, s'ammanta di decadentismo decostruttivo per ritrovare la volta d'una libertà possibile, alla recherche d'una felicità promessa, agli uomini tutti. Il desiderio è inestinguibile, sete diuturna d'arsure mai taciute, né appagate: tutto è estremo, l'ingordigia è totale, non appagabile: nella trama vorticosa cadono amanti, donne e uomini, i legami s'infrangono in un transfert collettivo di libido; nel maelstrom cedono i vincoli, i valori. Rigurgiti pagani, annacquamento dell'individualità di natura borghese, per una solipsistica nature che trasmuta lo spiritualismo teutonico (così in voga negli anni della stesura), ribaltandone il senso ed i canoni. Brecht evoca il suo “demone divoratore”, la fiera che sbrana la falsa concordia sociale, riemergendo dal subconscio per nutrirsi d'ostilità: tutto quel che è “divorabile” lo attira: sesso, donne, vino e convivio, la sua ars destruens diviene poetica romantica d'un esteta tres charmant, ossessivo e compulsivo per uomini (siamo nel periodo bellico del '15-'18) che decantano il proprio tramonto, bramando al contempo l'appagamento materialistico degli istinti vitali, appetiti voraci. Nel verso attoreo rivive il guizzo gioioso e cannibalico d'una figura assoluta, cerbero e molosside che azzanna il senso comune, puntellando la carne viva d'una precarietà declinante, per fiero pasto d'umanità morente; in Baal residuano voluttà erotica e concupiscenza mortifera, si legge l'epitaffio incisivo d'una natura ridotta ad accessorio, il lamento e peana per uno spirito che conobbe il lattiginoso ventre di mater, e ne ritornò infine, di mota ricorperto, dopo salto pindarico nel buio della terra. Compagnia precisa, nel conto onirico d'uno spirito primordiale, su tavole di palco crepuscolare, muscolare, vitale; è ancestrale patto, silente accordo, tra scena e platea. Da riscoprire, un Brecht giovanile.

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