giovedì 16 luglio 2009
Leggere: perchè no?
Quattro giornate. Una colata di cenere sulfurea ad incendiar gli animi, impastata di lacrime rabbiose, l’afasia d’un popolo che s’alimentò di dolore, vomitando livore, lo sguardo attonito e obliquo, miserevole e compito, come cane bastonato. Eppur capace ancora di guizzo ferino, di fiero e nobile gesto, d’ancestrale baldanza; ruppe gli argini d’una angoscia sospesa, tracimando furente, imbracciando ferro rovente, le braccia scheggiate, le brecce divelte. Una prece sgranata affiorante su tumide labbra, screzi sanguigni a lambirne i volti: un popolo infangato ed offeso, che si scrollò via le miserie più antiche, ormai raggrumate, incise nella sfiorita carne come sfregio perpetuo; che divenne vortice tumultuoso, avviluppando la fiamma, ad incenerire la spocchia ariana d’un invasore sprezzante, nibelunghi invincibili dal passo marziale, la croce ad uncino. Napoli, quel settembre nero del ’43. La fame vera, quella di “panza”, di scugnizzi sguscianti e male in arnese, contro quella dei “Panzer” teutonici, solide tigri cingolate che sferragliavano nelle strettoie e negli angiporti, testuggini compatte a calpestare macerie e dignità. Una dignità derisa perché cinta di stracci, vilipesa, perché plebea e dialettale, eppure mai negletta, ancora pulsante; il volto coriaceo d’una città avvilita a specchiarsi nelle iridi ardenti di Vincenza “ ‘a partigiana”, marianna partenopea dal fiero cipiglio, protagonista dell’agile romanzo d’esordio di Anita Curci, “Nono mi vendo. Storia di una partigiana del Petraio” ( edizioni Apeiron). Pagine nitide, cesellate con cura, una penna che segue i contorni della Storia, frammentandone gli attimi in singoli fremiti d’umano sentire; emergono voci, suoni, singulti e brandelli d’esistenze puntellate, vite compresse dal peso insostenibile di rovine morali, materiali, lacrime laviche a scavar solchi nel profondo. Quattro giornate che esplosero come pirica polvere, sfumando in chiaroscuri screziati, le mura giallastre ed offese che essudavano umori sanguigni, di rivolta; la guerra è un torbido affare, “roba da uomini”, par di ricordare. Eppure su quel convulso proscenio di tragici eventi, donne “descamisade”, spiritelli imberbi, indemoniati, e vecchi insonni ed acciaccati, d’impulso risorsero col nerbo battagliero di chi nulla più ha da temere, perché nulla più ha da sperare; l’otto settembre aveva eccitato gli animi degli occupanti, il nazismo in rotta non lesinava i colpi e le mitraglie. Sulle brecce d’un Petraio livido e limaccioso come Golgota crepuscolare, s’erse la figura messianica d’una donna che non risparmiò sé stessa, una partigiana dei bassi che seppe, come il popolo tutto, riscattare una vita in ombra, a rammendar cenci di stoffe sfilacciate, che per una volta divennero vessillo luminoso di passione e libertà. Quattro giornate indelebili, nelle pagine di un libro che lascia il segno.
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